Chi sarà il prossimo governatore della Banca d’Italia? E con quale bilancio politico si concluderà il blitz di Matteo Renzi contro Ignazio Visco? 

La posizione del governatore uscente appare oggettivamente indebolita — forse ai limiti dell’irreparabile — dall’imboscata parlamentare del Pd. Visco stesso, d’altra parte, era già parso mettere le mani avanti lasciando correre nelle ultime settimane voci di riflessioni in corso su un possibile ritiro in caso di non completa fiducia. La sua conferma in Bankitalia, per la verità, sarebbe stata messa formalmente sul tavolo dell’ultimo Consiglio dei ministri dal premier Paolo Gentiloni, pronto a salire al Quirinale per la controfirma del “concerto” previsto dalla legge per la nomina di Via Nazionale. E Sergio Mattarella era evidentemente pronto all’atto se martedì non fosse stata votata a sorpresa la clamorosa mozione-diktat al governo da parte del partito di maggioranza. Ora appare arduo che Gentiloni possa mantenere la sua indicazione, cui il Capo dello Stato è d’altronde vincolato, non avendo poteri di candidatura diretta. 



A meno di colpi di scena, i sei anni di mandato di Visco paiono dunque indirizzati alla conclusione. Le voci critiche — dall'”alto disappunto” di Mattarella ai retroscena sulla sorpresa di Pier Carlo Padoan, dai dubbi di Carlo Calenda alla contrarietà di Walter Veltroni e Pierluigi Bersani, alla polemica pre-elettorale di Silvio Berlusconi — sono tutte appuntate sul galateo politico-istituzionale, senza vere prese di posizione a tutela di Visco. Quest’ultimo, a botta calda, si è subito affannosamente detto disponibile a un’audizione immediata presso la commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria, che ha aperto i battenti proprio martedì. L’insistenza filtrata da Palazzo Koch ha fatto un po’ discutere: perché tanta fretta quando il vero “capo d’imputazione” contro il governatore è l’aver “saputo e taciuto” a lungo su alcuni dissesti bancari? La durezza spregiudicata del passo di Renzi, d’altra parte, è in parte attribuibile alla maxi richiesta di danni avanzata negli ultimi giorni dal liquidatore nominato da Bankitalia per Banca Etruria: 420 milioni per episodi gravi di cattiva gestione, addossati in parte anche al padre di Maria Elena Boschi, ex vicepresidente della Popolare aretina. Renzi si è sentito minacciato da Visco, come minimo ha avuto buon gioco nel mostrarsi preoccupato.



Appare d’altronde improbabile che l’affondo di Renzi possa spingersi fino all’imposizione di un proprio candidato governatore, presumibilmente esterno alla Banca d’Italia. Più verosimile che il superamento dell’impasse avvenga su un nome di provenienza interna a Palazzo Koch. E se la mozione del Pd si è autogiustificata con l’esigenza di ridare a Bankitalia un ruolo forte nella vigilanza creditizia e nella tutela risparmio, non è facile pensare all’attuale direttore generale Salvatore Rossi: un economista di formazione come Visco e suo oggettivo corresponsabile durante il mandato. Sembrano invece salire le quotazioni di due diverse figure della scuola Bankitalia: il vicedirettore generale Fabio Panetta e Ignazio Angeloni, alto funzionario della Bce fin dalla sua fondazione. Due nomi accomunati dall’essere seduti entrambi nel consiglio di supervisione bancaria di Francoforte: Panetta in rappresentanza di Bankitalia, Angeloni su indicazione diretta di Mario Draghi dallo staff dell’Eurotower. Ambedue sono perfetti conoscitori di tutti i dossier regolamentari e di tutti i casi specifici che hanno segnato nell’ultimo triennio l’avvio travagliato dell’Unione bancaria sul versante italiano. Né va dimenticato che il prossimo governatore si muoverà in prima persona nel consiglio generale della Bce dopo l’uscita di scena, ormai prossima, di Draghi: Panetta e Angeloni conoscono perfettamente l’intera Bce, quella della politica monetaria e quella della vigilanza creditizia.



Nel frattempo Renzi sembra essersi aggiudicato una battaglia che pare ricordare l’offensiva austro-tedesca a Caporetto, giusto cent’anni fa. Alla base vi fu l’assoluta necessità di allentare una pressione avversaria divenuta insostenibile. La sorpresa strategica dell’autunno del 1917 riuscì a sfondare il fronte italiano e ottenne un notevole successo parziale: l’esercito italiano dovette arretrare per un anno sul Piave e cambiare comandante, con ingenti perdite. Nel suo blitz politico dell’autunno 2017 Renzi è sembrato ricementare la sua leadership malferma nel Pd e in Parlamento alla vigilia dei referendum in Lombardia e Veneto e del voto in Sicilia, prove generali del voto di marzo. In secondo luogo ha mostrato estrema determinazione nel ribaltare il suo ruolo sul difficile terreno della crisi bancaria: da accusato ad accusatore; da sospettato di interessi opachi o strumentali (da Etruria ad Mps) a uomo di governo intenzionato a far luce e pulizia sul terreno del “risparmio tradito”, rubando spazio politico-mediatico anzitutto al populismo anti-bancario di M5s.

La vittoria di Caporetto non evitò all’impero asburgico la sconfitta finale e il completo dissolvimento: ma accadde solo un anno dopo. E non prima che l’offensiva fosse replicata un’ultima volta sul Piave, nel giugno 1918.