Non so come andrà a finire, ma so due cose, con certezza. Primo, quando vi dicevo che la questione della nuova normativa Bce sulla copertura degli Npl a bilancio per le banche dell’eurozona si sarebbe tramutata presto da slavina a valanga, ci avevo azzeccato. Secondo, quando settimana scorsa ho messo sul piatto la vicenda relativa alla Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, legandola a doppio filo al rinnovo della carica di governatore di Bankitalia per Ignazio Visco, non ero affatto andato lontano da quanto sarebbe successo. Anzi. Autocelebrazione? No, dato di fatto. Carta (anzi, web) canta. Siamo allo scontro frontale e di quelli che non faranno prigionieri.
Primo, con la sua mossa di attaccare frontalmente Visco attraverso la mozione parlamentare Pd di martedì, Matteo Renzi ha ottenuto un primo, enorme risultato: ha tolto il caricatore al mitra che il Movimento 5 Stelle pensava di poter usare liberamente in caso di difficoltà durante la campagna elettorale. Ovvero, la questione banche. Mossa sbracata, irrituale, al limite dell’oltraggioso verso Parlamento e Quirinale, ma strategicamente da maestro, tocca ammetterlo. Oltretutto, compiuta mentre gironzola il Centro Italia in treno, come se nulla fosse. Ora, però, la battaglia si fa campale: da un lato Gentiloni e Mattarella, con la sponda di Tajani (leggi Forza Italia), dall’altra Matteo Renzi e Mario Draghi. Capite da soli che stiamo parlando di pesi massimi che si stanno affrontando in campo aperto, quindi in gioco ci sono gli assetti stessi del potere italiano, non le regionali siciliane o i referendum lombardo-veneto.
E non ci vuole Sherlock Holmes per capirlo, bastano le parole espresse ieri mattina da Paolo Gentiloni, riguardo proprio la questione dei non-performing loans nelle comunicazioni all’Aula della Camera in vista del vertice Ue di oggi e domani: «Il dibattito sul futuro dell’Unione è un dibattito di sostanza, non è la cornice dentro la quale prendere decisioni in direzioni diverse, come è accaduto qualche settimana fa quando alcuni organi di vigilanza hanno adottato delle decisioni circa i ritmi di smaltimento dei crediti deteriorati o potenzialmente deteriorabili, decisioni non del tutto interne al percorso della Commissione e del Parlamento». E ancora: «In quest’ottica ho trovato molto ragionevoli le osservazioni del presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, anche dal punto di vista della procedura politico democratica dell’Unione». Insomma, asse Gentiloni-Tajani contro la Bce, benedetto sia dal Quirinale che da Forza Italia, mai come oggi schierata formalmente sul fronte no-inciucio con il Pd dopo il voto per cercare di depotenziare la Lega.
Dall’altra parte, però, c’è un Draghi decisamente all’attacco. E un’Europa a guida tedesca che non vede l’ora di favorirne l’addio all’Eurotower e l’approdo a palazzo Chigi, in vista della vera Europa post-Qe che sarà. Ieri, infatti, due notizie hanno scosso l’asse di chi teme lo zampino di Francoforte dietro la sortita Pd contro Visco. Primo, la Corte costituzionale tedesca ha rigettato i ricorsi d’urgenza contro i programmi di acquisto dei titoli di Stato da parte proprio della Bce, presentati dagli ex politici dell’Afd, Bernd Lucke e Hans Olaf Henke. Niente di trascendentale, ma un atto formale che rafforza – e non poco – il board, anche in vista della riunione del 25-26 ottobre prossimi. Secondo, nel discorso d’apertura della conferenza Structural reforms in the euro area tenutosi ieri mattina a Francoforte, Mario Draghi ha citato il Jobs Act come esempio di utilizzo degli incentivi fiscali per migliorare l’efficacia delle riforme: «Nel 2015 il Jobs Act italiano, ad esempio, è stato seguito da un incremento di quasi mezzo milione del numero di persone occupate con un contratto permanente, in larga parte grazie al fatto che le sovvenzioni per le assunzioni hanno incoraggiato le aziende ad assumere più persone col nuovo contratto a tempo indeterminato», ha spiegato il presidente della Bce, citando anche la Spagna come esempio di riforme virtuose nella lotta alla disoccupazione.
Inoltre, il numero uno dell’Eurotower ha sottolineato come «tassi più bassi tendono a promuovere le riforme, dal momento che portano a un miglior ambiente macroeconomico. Questo risulta particolarmente utile per i Paesi che non hanno lo spazio fiscale per sostenere la domanda». Penso che nemmeno il Pirlo più ispirato sarebbe stato in grado di fornire un assist migliore. Ovviamente, a Matteo Renzi, padre del Jobs Act che, dopo mesi e mesi di critiche al riguardo, anche e soprattutto da parte della sinistra extra-Pd, ora incassa il plauso di quello che è, nei fatti, l’uomo più potente d’Europa. E uno dei cinque più potenti al mondo. Inattaccabile, perché tutti sanno – anche il Quirinale e Padoan, che tutto farebbero pur di difendere il rinnovo di Visco a Bankitalia – che senza il Qe e il braccio di ferro perenne con la Bundesbank, oggi saremmo ridotti così male da far sembrare il 2011 un anno di splendore economico e politico.
E a farci capire che i nervi sono davvero scoperti questa volta, ci hanno pensato le parole del Premio Nobel per l’Economia in pectore, Renato Brunetta, a detta del quale «la Banca d’Italia appartiene all’Eurosistema e la sua indipendenza è sancita nei trattati che hanno istituito la Banca centrale europea. Trovo straordinario che debba essere Weidmann a ricordarci (nella sua intervista al Corriere della Sera di martedì) le caratteristiche del sistema europeo di banche centrali. Con il mandato di Draghi in scadenza fra un paio d’anni, i difensori della indipendenza della Bce dovremmo essere noi. Fra due anni avremo disperatamente bisogno di una Bce indipendente. Conseguentemente, la mozione di ieri del Partito Democratico di Renzi ci spinge ancora più ai margini dell’Europa».
Dunque, l’uomo che ha tentato di ricostruirsi una credibilità economica nel mondo forzista post-Tremonti attraverso la narrativa del complotto tedesco del 2011 contro il governo Berlusconi, arriva a scomodare il capo della Bundesbank per rivendicare l’indipendenza che sarà della Bce? Quando anche i bambini sanno che il prossimo numero dell’Eurotower sarà proprio Weidmann e con un’agenda decisamente poco piacevole, a livello di rigore dei conti e flessibilità concessa, per i Paesi del cosiddetto Club Med? Siamo al ridicolo totale. O ci troviamo davanti a un colossale gioco delle parti fra Pd renziano e Forza Italia per dissimulare agli occhi dell’elettorato l’accordo post-voto già raggiunto (ma dubito che un uomo della statura di Mario Draghi accetti di far parte della pantomima) oppure la guerra è davvero aperta e dichiarata, come farebbe pensare – toccando un altro argomento elettoralmente sensibile – la colossale apertura di Silvio Berlusconi verso i referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto di ieri, essendosi spinto – durante la conferenza stampa con Roberto Maroni – a chiedere che si proceda in tal senso per tutte le Regioni d’Italia.
Il silenzio di Salvini fa un rumore devastante, tipo C-130 in avaria. E che la posta in gioco sia enorme e giocata su tavoli davvero di primo livello, lo mostrava il Ftse Mib: all’ora di pranzo, era spiaggiato mollemente su un +0,22% di tutto relax. Sintomo che le montagne russe le vedremo più avanti. Ma che uno dei player, indovinate chi, sarà in grado di dare le carte veramente. Per il bene dell’Italia? Questo è davvero tutto da vedere.