Sui grandi quotidiani di ieri era significativo il contrasto fra le “frontline” quasi unificate nella difesa il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e l’estrema complessità degli spunti offerti dallo sfoglio. Su Repubblica, ad esempio, anche l’editoriale principale — firmato dal direttore emerito Ezio Mauro — riconosce che in Italia c’è stato “un problema di vigilanza bancaria”, ma di questo accusa “la politica”: che non avrebbe quindi “vigilato il vigilante”. Tre colonne dopo, sempre in prima pagina, Federico Rampini dagli Usa ha raccontato come il casting finale per la nuova presidenza della Fed è considerato fisiologia istituzionale: perfino se il capo dell’amministrazione è Donald Trump. E questo ha introdotto — “visto da Wall Street” — un giudizio pesantemente negativo su via Nazionale, con una sottolineatura: il vigilante è parso troppo spesso catturato dalle banche vigilate, tuttora partecipanti al capitale della banca centrale. Bisogna però andare a pagina 24 per trovare in un trafiletto economico la notizia che la Consob ha negato il via libera alla ri-quotazione in Borsa di Mps. Piccola cronaca finanziaria?
Montepaschi è stato l’epicentro della crisi politico-bancaria italiana: anche se la commissione parlamentare d’inchiesta lo ha per ora emarginato dai lavoro, a favore dei più recenti crac delle popolari venete. A proposito di Consob, è comunque comprensibile che il presidente Giuseppe Vegas, negli ultimi giorni di mandato, non voglia assumersi la responsabilità di “normalizzare” la situazione Siena dopo il maxi-salvataggio statale. Un suo lontano predecessore, Guido Rossi, ci rimise il posto e un pezzo di reputazione per aver autorizzato nel 1981 l’approdo al listino del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Non più tardi di un anno dopo era già una gigantesca bancarotta appesa a un ponte di Londra.
Ma l’offerta informativa di Repubblica su Bankitalia, ieri, aveva in serbo anche la copertina di Donna, il supplemento femminile del sabato. “Le leggi dei numeri e le ragioni del cuore” era lo strillo su un ritratto molto intenso di Lucrezia Reichlin: l’economista della London School of Economics, molto sussurrata come possibile wild card per il dopo-Visco. Una “quota rosa” che — si dice — potrebbe riscuotere gradimenti molto diversificati: dal presidente della Bce, Mario Draghi, al leader Pd Matteo Renzi; dalla City alla vecchia aristocrazia del Pci (anzitutto il senatore a vita Giorgio Napolitano). L’establishment scalfariano del giornale-partito romano sta facendo muro su Visco, ma impostando già la partita della successione?
Il Corriere della Sera non è stato da meno. La difesa istituzionale di Visco — affidata in prima al costituzionalista Sabino Cassese — non ha impedito che a pagina 49 — in uno spazio di notizie brevi — uscisse un articolo di cronaca giudiziaria. In esso — a partire da un’inchiesta di “mala banca” — è stato sintetizzato un punto di vista forte del procuratore capo di Milano Francesco Greco, decano nazionale dell’investigazione finanziaria, ascoltato l’altro giorno dalla commissione presieduta da Pierferdinando Casini. Spesso le Procure hanno dovuto confrontarsi con “un approccio prudente della Vigilanza”: un eufemismo per trasmettere l’impressione che via Nazionale è stata sempre poco collaborativa coi magistrati che indagavano su banche e banchieri indiziati di aver “ostacolato la vigilanza”. Insomma: per la Procura della piazza finanziaria italiana, per gli storici inquirenti di Mani Pulite, la Banca d’Italia di Visco è stata lontana dalla sufficienza sia sul fronte dell’efficacia della vigilanza, sia su quello della trasparenza verso altre autorità pubbliche in azione a tutela del risparmio.
E che dire, per finire, di un articolo del Foglio in cui ricompare fra virgolette Cesare Geronzi? L’ex presidente di Capitalia, ex dirigente Bankitalia e poi storico “banchiere politico”, è reduce della conferma di una dura condanna per il crac Parmalat. Nel mezzo del “caso Visco” rilascia giudizi apparentemente scontati sull’appannamento di via Nazionale nella globalizzazione finanziaria. Cita Menichella e Ciampi, Geronzi: non Antonio Fazio di cui fu sodale di ferro fino alla drammatica cacciata del governatore, nel 2005. Dodici anni dopo è un silenzio che appare assordante. Come — sembra dire Geronzi — nel 2017 la “nuova vigilanza” imposta dalla finanza liberista anche in Bankitalia ha portato a questi disastri in banca e a questo gioco al massacro attorno a Palazzo Koch?