La Bce deciderà probabilmente la prossima settimana di ridurre l’importo del Quantitative easing, evitando però un drastico taglio degli acquisti di asset. Lo ha detto giovedì il governatore della banca centrale austriaca e membro del Direttivo Bce Ewald Nowotny. Dichiarazioni di questo tenore, più o meno ufficiali, si sono moltiplicate in vista del direttorio del 26 ottobre. Resta da stabilire l’importo della riduzione (da 60 a 40 miliardi al mese oppure a 20) e la durata del Qe in forma ridotta (Mario Draghi preme perché il programma duri per tutto il 2018), ma il principio è ormai fissato: con gradualità, Francoforte si avvia a stringere i rubinetti, pur garantendo che i tassi restano bassi per lungo tempo.
È possibile che la mossa si traduca in un primo ritocco all’insù del costo del denaro, soprattutto se coinciderà con una svolta degli orientamenti al vertice della Federal Reserve. Ma Draghi dovrà fare i conti con la crisi catalana che si preannuncia lunga e difficile. Perciò è probabile che la Bce tenderà a essere morbida, l’euro si indebolirà e le borse potranno continuare a salire. Nel frattempo Daniele Nouy, che guida la vigilanza bancaria europea, ha fatto sapere che, in merito all questione dei non performing loans, Francoforte si prepara a emanare una sorta di guida cui si dovranno uniformare gli istituti “renitenti”, restii ad affrontare subito la questione dei crediti deteriorati. Naturalmente con un piglio e una determinazione che non piacciono all’establishment italiano, come ha già avuto modo di esternare Matteo Renzi.
In questa cornice è maturato un colpo forse mortale, all’Unione bancaria. Come ha scritto il professor Angelo Baglioni:,”il terzo tassello della Unione bancaria, cioè l’assicurazione europea dei depositi, non arriverà mai. La proposta presentata dalla Commissione l’11 ottobre, anche se richiama nel titolo il ‘completamento dell’Unione bancaria’, segna di fatto la resa alla linea tedesca: l’assicurazione comune dei depositi non s’ha da fare”. Il governo tedesco, dunque, ha posto il suo veto al completamento del progetto, temendo che si trasformasse in un trasferimento unilaterale di risorse dalla Germania ad altri paesi europei. La tesi sostenuta dai tedeschi è: “prima di condividere i rischi, bisogna ridurli”.
Il documento diffuso dalla Commissione Ue sembra uscito dalla penna del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble dove recita: “I rischi ereditati dal passato (legacy risks) vanno risolti nei settori bancari che li hanno generati, prima che parta la fase della co-assicurazione”. Ma nel futuro è probabile che il ministro delle Finanze che succederà a Schäuble, di sicuro un liberale, sarà ancora più rigido. Si profila perciò una riforma che non promette per noi nulla di buono: il progetto di procedere alla trasformazione del Meccanismo di stabilità europeo (Esm) in un Fondo monetario europeo (Fme) guardiano del Fiscal compact e dotato del potere di imporre perdite ai detentori di titoli pubblici di un Paese, qualora questo chiedesse la sua assistenza finanziaria, una sorta di bail-in applicato al debito pubblico.
Forse le cose non andranno proprio così, ma la cornice è abbastanza chiara: non si profila una fase di “comprensione” per una politica di sviluppo che preveda un aumento del debito. E non è alle porte l’emissione di eurobond o altre misure espansive. I bassi tassi di interesse, ci avverte Draghi, dovranno essere destinati a raddrizzare le non poche debolezze del sistema finanziario italiano.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Ma merita ricordare la nostra posizione di debolezza alla vigilia di scadenze importanti che l’Italia affronterà con un certo handicap. Non ha fatto certo bene all’autorità di Mario Draghi l’imboscata a Ignazio Visco. Il presidente della Bce aveva partecipato all’ultima assemblea di Banca d’Italia per ribadire l’appoggio a Visco. Quale danno di credibilità è venuto al nostro banchiere, così importante in questi anni per la tenuta del sistema, dalle vicende degli ultimi giorni. E che resta dell’autonomia di Banca d’Italia dopo la decisione di sottoporre la conferma o meno dei vertici all’esito di un dibattito parlamentare?
Intanto, i banchieri protagonisti dei crac godono di ottima salute. Uno solo, Vincenzo Consoli di Veneto Banca, ha subito una limitazione della libertà individuale (sotto forma di arresti domiciliari). E i rimborsi al risparmio “tradito” sono arrivati dal denaro pubblico. Ma di questo, per ora, non se ne parla. Che strana commissione d’inchiesta. Anzi, che strano Paese.