Sabato squillante cover-girl su Donna, il supplemento femminile di Repubblica. Domenica restituita al più austero ruolo di editorialista del Corriere della Sera: per di più con un column di formato straordinario (una pagina di giro), addirittura a preannuncio di un mini-saggio in tre puntate sulla riforma dell’euro. È stato bollente il fine-settimana di Lucrezia Reichlin, candidata “rosa” a governatore della Banca d’Italia. In realtà la figlia di Alfredo Reichlin – braccio destro di Enrico Berlinguer nel Pci e ministro-ombra dell’Economia nel primo Pds – appare soprattutto una “candidata di bandiera”, nella confusa e concitata successione a Ignazio Visco. Era già stata, del resto, al centro di forti rumor ed endorsement per l’incarico di ministro finanziario del governo Letta: allora in Via XX settembre andò invece Fabrizio Saccomanni, il direttore generale di Via Nazionale bruciato nel 2011 nella successione a Mario Draghi (la contrapposizione con l’esterno Vittorio Grilli sostenuto dal ministro Giulio Tremonti portò alla nomina mediatoria di Visco). Reichlin è tuttora candidata alla presidenza di UniCredit, di cui è da molti anni consigliere indipendente; anche se – riferiscono voci bene informate – faticherebbe a esibire i nuovi requisiti fissati dalla vigilanza Bce per ricoprire il ruolo (anzitutto una comprovata esperienza nella gestione bancaria).
Nell’ottobre 2017, l’economista della London School of Economics si trova a recitare una parte precisa nella tragicommedia politico-bancaria in svolgimento attorno a Bankitalia. Segnala in modo forte l’esistenza di una candidatura esterna con una doppia osservanza: la sinistra storica e il presidente della Bce, Mario Draghi. Un profilo disegnato con tutta evidenza per elidere altre possibili ipotesi esterne per il dopo-Visco: dall’economista Marco Fortis (storicamente vicino al centrodestra, poi consigliere di Matteo Renzi a palazzo Chigi); oppure Lorenzo Bini Smaghi, cresciuto fra Bankitalia e Tesoro, ex membro dell’esecutivo Bce, oggi presidente del consiglio di sorveglianza del colosso francese Société Générale; o perfino l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina.
La sua iperesposizione mediatica, nelle ore decisive per la soluzione della partita di Via Nazionale, conferma che la stessa resistenza di Visco (gestita più da altri che da lui) è ormai “di bandiera”: utile anzitutto per negoziare l’articolazione concreta della successione. Dopo lo showdown della mozione Renzi contro il governatore uscente e l’oggettiva delegittimazione di quest’ultimo, la successiva ipotesi di compromesso guarda alla promozione interna di un membro del direttorio. Ieri sembravano in salita le quotazioni del direttore generale Salvatore Rossi, la cui ascesa a governatore sarebbe favorita da considerazioni strettamente politico-istituzionali (la “difesa dell’autonomia” di Bankitalia dietro cui si è arroccato il premier Paolo Gentiloni e dietro di lui anche il Quirinale).
La candidatura Rossi rimane però debole sul piano tecnico: il direttore generale (fra l’altro presidente dell’Ivass, vigilante sulle assicurazioni) condivide con Visco un curriculum lontano dalla vigilanza bancaria e la responsabilità oggettiva delle défaillances degli ultimi anni. La quadratura del cerchio potrebbe essere forse realizzata con la promozione ulteriore del vicedirettore generale Fabio Panetta, già membro del consiglio di supervisione Bce. Ma altre opzioni sono praticabili: a cominciare dalla scelta di Panetta per la poltrona principale (il “doppio salto” è già avvenuto nel 1993 con Antonio Fazio e nel 2011 con Visco, mentre nel 2005 Draghi arrivò dalla Goldman Sachs). Né può essere esclusa la chiamata di un direttore generale esterno, oppure di Ignazio Angeloni: che da vent’anni opera alla Bce e siede nel consiglio di supervisione su indicazione del presidente Draghi.