Il referendum sull’autonomia in Lombardia e in Veneto è al centro del dibattito politico nazionale da diversi giorni. Si registra però una differenza marcata tra la lettura che viene data in Italia e quella che viene data all’esterno. In Italia l’evento viene considerato una fase “normale” dell’annosa vicenda del rapporto tra “nord” ricco e resto del Paese e della necessità di aumentare il federalismo. All’esterno, invece, la lettura è molto differente. Prendiamo, solo a titolo d’esempio, alcune righe che si trovavano ieri nell’articolo, in seconda pagina, dedicato dal Financial Times al referendum: “i referendum italiani arrivano mentre la Spagna fatica a contenere una sempre più forte richiesta di secessione in Catalogna. Anche molti politici nazionalisti in Scozia stanno chiedendo un nuovo referendum”. 



La prima reazione di fronte a questi accostamenti è un sorriso. Per noi italiani l’assunto è che la questione catalana o scozzese siano molto diverse da quella lombarda e veneta; in Lombardia non si parla il lombardo, per esempio. La tentazione è quella di attribuire la lettura dei “mercati” a un errore da ignorante di chi mette insieme cose che non hanno nulla a che fare e che non avranno mai nulla a che fare. In sostanza i nostri “autonomismi” sono una barzelletta tutta italiana che si riduce alle solite polemiche tra “polentoni” e “meridionali”. I “mercati”, invece, hanno molte ragioni per mettere insieme Scozia, Catalogna con Lombardia e Veneto. Soprattutto le polemiche decennali tra italiani del nord e italiani del sud oggi si collocano in un contesto profondamente diverso rispetto a quello degli anni 90.



Le differenze economiche tra nord e sud negli ultimi anni sono esplose; si pensi solamente all’evoluzione dei dati sulla disoccupazione. Oggi il nord è molto meno vicino al sud rispetto a dieci anni fa. La ragione è semplice: l’Italia ha trasferito sovranità economica e finanziaria all’Europa e ha molta meno autonomia nelle decisioni di spesa. In assenza di investimenti centrali, via austerity, è più penalizzato chi ha un’economia privata meno forte. Allo stesso tempo sia il nord e il sud dipendono economicamente da leve europee che non vengono decise in Italia. Pensiamo al ruolo della Banca centrale europea che decide in base alle esigenze europee o a quello dell’euro. Se il sud o la Grecia arrancano la banca centrale è sempre europea. Il meccanismo di redistribuzione che veniva garantito dallo Stato italiano non è stato sostituito da niente; infatti in Grecia si fa la fame e in Germania la disoccupazione è ai minimi, ma a nessuno viene in mente di incentivare Volkswagen ad aprire una fabbrica di Golf fuori da Atene. A nessuno viene in mente di pagare un insegnante portoghese come uno di Francoforte.



In questo contesto le differenze economiche tra nord e sud italiano possono solo aumentare e gli interventi di austerity imposti dall’Europa all’Italia verranno ritenuti sempre più ingiusti nelle regioni con il residuo fiscale maggiore. Perché dobbiamo pagare anche noi che siamo “virtuosi”? Questa domanda non ha mai avuto un interlocutore vero visto che c’era lo Stato italiano e basta. Ma oggi c’è una differenza sostanziale. L’Italia è parte dell’Europa, che ha una sua valuta, una sua banca centrale, un suo parlamento, domani magari anche un esercito. Lo Stato italiano è sempre meno sostanziale e lo è sempre di più quello europeo. In questo contesto è molto meno assurda la richiesta di chi vuole un trattamento diverso perché in Europa esistono differenze incredibili e insostenibili.

Oggi la Catalogna si appella all’Europa nel suo tentativo di secessione. All’Europa, sempre più stato, non cambia nulla se i catalani vogliono stare in un organismo diverso da Madrid esattamente come all’Italia non cambia nulla se abruzzesi e molisani vogliano due regioni diverse; anzi forse persino meglio, politicamente, per chi oggi controlla l’Europa e avrà meno concorrenza, ed economicamente, per chi, in Europa, non vuole perdersi per strada un pezzo pregiato di mercato interno altrimenti destinato alla desertificazione stile Grecia. Chi è veramente europeo non può non guardare con benevolenza alla questione catalana e non potrà non guardare con benevolenza alla questione lombarda o veneta se si porranno con maggiore forza per squilibri economico-finanziari. 

La questione ai nostri fini è a questo punto se ci “va bene” l’Europa che troviamo avendo abbandonato l’Italia. Senza aver risolto un palese deficit di democrazia per cui non decide l’elettore europeo, ma quelli tedeschi e francesi nell’interesse delle imprese tedesche e francesi, l’approdo europeo può avvenire solo, letteralmente, da colonia. L’elettore italiano in Europa non conta perché non decide delle tasse di quello tedesco, ma quello tedesco decide delle tasse di quello italiano. Chi difende questo status quo perché l’Italia è “cattiva” e indebitata difende comunque uno stato da colonia di fatto. Magari la Lombardia da sola ottiene uno statuto migliore di quello della Sicilia.

Questo però al mercato non interessa. Interessa invece capire come evolverà la questione lombarda e veneta e nel contesto attuale è molto ragionevole che si avvicini a quella catalana e scozzese. È molto più facile capirlo dall’esterno che dall’interno.