La riconferma di Ignazio Visco a governatore della Banca d’Italia è rimasta in bilico fino all’ultimo, se è vero che il premier Paolo Gentiloni ha effettuato un ultimo sondaggio presso l’ex direttore generale Fabrizio Saccomanni. Quest’ultimo era il candidato governatore nel 2011, quando Mario Draghi lasciò via Nazionale per trasferirsi al vertice Bce, ma venne bloccato dalla contro-candidatura esterna del direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, sostenuto dal ministro Giulio Tremonti. Fu così che Visco — uno dei tre vice di Saccomanni — venne catapultato sulla poltrona di governatore. Saccomanni — formato alla rigorosa scuola di Carlo Azeglio Ciampi — rimase al suo posto prima di trasferirsi al ministero dell’Economia nel governo Letta. Il suo no a un ipotetico ritorno in Bankitalia per sbloccare l’impasse politica su Visco era prevedibile e d’altronde l’opzione Saccomanni è stata percorsa come estremo tentativo di quadratura del cerchio.
Il leader del Pd Matteo Renzi, nonostante una continuo aggiustamento dialettico, ha tenuto ferma la linea delle mozioni parlamentari M5s che chiedevano un avvicendamento in Bankitalia dopo troppi dissesti bancari e troppo “risparmio tradito”. Dall’altro lato, tuttavia, il Quirinale non ha ceduto sulle proprie prerogative istituzionali e — nel merito — sui temi abbinati dell’autonomia di Banca d’Italia e dell’interesse del Paese. E se nel fine settimana i referendum autonomisti in Lombardia e Veneto sono parsi riaccendere il populismo anti-bancario, le importanti decisioni di ieri del consiglio Bce (con Draghi presidente e Visco membro effettivo da sei anni) hanno confermato entro quali complessi e delicati equilibri esterni sia agganciata l’Azienda-Italia. Non era lecito dubitare dell’appoggio di Draghi a Visco e del suo peso e se n’è avuta conferma. Da oggi, tuttavia, la strada di Visco resta in salita e forse può farsi ancora più impervia. emergerà anzitutto se la permanenza di Visco nel suo incarico è maturata con qualche compromesso interno al direttorio di Bankitalia.
Già nei giorni scorsi aveva preso a circolare la voce di una promozione del vicedirettore Fabio Panetta, che siede nel consiglio di supervisione bancaria Bce: questo per rafforzare la vigilanza italiana sul versante europeo oltreché su quello interno. Detto più brutalmente: il “capro espiatorio” della reputazione peggiorata di Bankitalia sarebbe il direttore generale Salvatore Rossi. Si vedrà, ma la riconferma in blocco del direttorio comporterebbe un rischio politico elevato in campagna elettorale: anche se la posizione di Renzi dovesse indebolirsi ulteriormente dopo il voto in Sicilia. Un secondo fronte caldo, fin dai prossimi giorni, è rappresentato dai lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria. Da un lato, a valle della clamorosa mozione Pd, Visco aveva sollecitato la propria audizione, facendosi precedere — si è detto — da un ponderoso incartamento di documenti, in parte “segreti”.
Dall’altro lato i primi quattro auditi dalla commissione sono stati quattro alti magistrati: ultimo il procuratore capo di Vicenza, Cappelleri. Il filo rosso di un singolare avvio della commissione è stata la denuncia dell’insufficienza del lavoro degli ispettori Bankitalia e la tendenza di Via Nazionale a non collaborare con l’autorità giudiziaria nel perseguire i reati contro il credito e il risparmio. Cosa farà ora il governatore confermato? “Vuoterà il sacco” davanti alla commissione? Rispondendo sul crack Popolare di Vicenza toccherà anche il capitolo cruciale dei colloqui di fusione-salvataggio con Banca Etruria? Come affronterà il più grave e politicamente sensibile dei dissesti, quello di Mps? E come farà quadrare il cerchio fra il racconto di una vigilanza “ingannata e tradita” e il sospetto che la stessa vigilanza almeno qualcosa sapesse e non abbia agito come avrebbe dovuto?