Mi sono sbagliato. Avevo detto che entro oggi l’Ue sarebbe entrata in campo per evitare che la questione catalana trascendesse e portasse a sviluppi non più gestibili nell’ordinario costituzionale spagnolo: non è stato così. A quanto ne sappiamo ufficialmente, almeno. Carlos Puigdemont ha fatto tutto da solo. Schiacciato dalla fronda sempre più profonda interna al suo partito, ha indetto nuove elezioni in Catalogna per il 20 dicembre prossimo: detto fatto, a Madrid i socialisti del Psoe hanno subito sentenziato che in questo modo non è più necessario attivare l’articolo 155 della Costituzione, quello che revoca i poteri autonomi e li avoca al governo centrale. Come dire a Mariano Rajoy che, se avesse voluto proseguire sulla linea dura con Barcellona, non avrebbe potuto più contare sul loro appoggio parlamentare, ottenuto non più tardi della scorsa settimana sull’onda della montante minaccia secessionista della Generalitat.
Poi, la sorpresa: l’atteso discorso tv nel quale proprio Carlos Puigdemont avrebbe dovuto annunciare l’indizione delle elezioni anticipate è stato prima posticipato alle 14.30 e poi annullato. La ragione? La mancata rassicurazione da parte di Madrid proprio riguardo alla non attivazione dell’articolo 155 in caso di ritorno alle urne. Tutto rimandato a oggi, quando il Senato spagnolo sarà chiamato a dibattere e decidere sul tema? L’ennesimo rinvio? Conta solo una cosa: quale pazzo avrebbe indetto e poi posticipato un discorso tv di quella importanza, fissandolo in perfetta contemporanea con la conferenza stampa di Mario Draghi a Francoforte? Casualmente, l’annullamento è arrivato una volta che le decisioni del board dell’Eurotower erano state anticipate dal solito comunicato stampa. E io, come sapete, non credo alle coincidenze. Perché a nessuno sarà sfuggito che il parziale voltafaccia di Puigdemont rispetto alla proclamazione di indipendenza sia arrivato negli ultimi giorni su pressione del ministro delle Finanze catalano, apertamente critico verso la linea secessionista che sta costando a Barcellona la fuga di aziende in maniera ormai emorragica. Dove andrà finire il costo del debito catalano, avanti di questo passo?
Nel momento in cui invio l’articolo in redazione per essere impaginato, lo stato dell’arte è questo, ma potrebbe essere variato: ci tornerò su nel caso, ma quanto accaduto fino a ieri non varia. Perché vi parlo di questo, dopo che per settimane vi ho tormentato l’anima con il board della Bce conclusosi ieri? Perché è tutto legato: hanno creato le condizioni per una pace assoluta sul fronte europeo, un idillio che deve farci riflettere. Perché, infatti, mercoledì Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, è saltato fuori quasi dal nulla, lanciando una granata che nessuno si attendeva? Quale? Questa, relativa al Brexit: «Come finirà, se con un buon accordo, nessun accordo o niente Brexit, dipende da Londra». Niente Brexit? È la prima volta che, a parte i LibDem britannici, qualcuno evoca l’ipotesi che l’addio di Londra all’Ue possa essere reversibile: e sono oltre 4 milioni le firme di cittadini del Regno Unito per l’indizione di un secondo referendum, ma nessuno, fino ad adesso, aveva avanzato un passo simile all’interno del mondo politico. Di più, il capo del Consiglio Ue.
È in questo contesto politico, troppo poco evidenziato da grandi media, che Mario Draghi ha annunciato quanto i mercati già avevano prezzato: il Qe passerà infatti dagli attuali 60 miliardi di euro a 30 miliardi di euro a partire da gennaio 2018, estendendone la durata di 9 mesi fino a settembre del 2018, «e anche oltre se fosse necessario a garantire una normalizzazione dell’inflazione verso il suo obiettivo di un incremento dell’indice dei prezzi al consumo prossimo al 2%». La precedente riduzione era stata decisa a dicembre 2016, da 80 a 60 miliardi di euro al mese e la sua durata era stata prolungata fino a dicembre di quest’anno: anche in quel caso, la formula fu quella del «anche oltre se necessario». Annunciando una riduzione della mole di acquisti mensili di titoli a partire da gennaio, la Bce ha avvertito di essere pronta sia a prorogare gli acquisti oltre il previsto mese di settembre, se necessario, sia a riaumentare la mole degli acquisti.
Il numero uno dell’Eurotower ha infatti ribadito che, «se l’outlook dovesse diventare meno favorevole o se le condizioni finanziarie non dovessero essere più coerenti con l’obiettivo del target di inflazione, il direttivo della Bce è pronto a incrementare il programma di acquisti, in termini di entità e durata». Infine, la Bce ha puntualizzato che continuerà a reinvestire i titoli giunti a scadenza senza stabilire un termine per questo meccanismo e che le aste agevolate di rifinanziamento alle banche a tasso fisso proseguiranno almeno fino al 2019.
Di riflesso a questi annunci, il cambio euro/dollaro si è portato subito su un minimo intraday a quota 1,1744. Ecco una prima reazione dai trading floor: «Il Qe è stato allungato di nove mesi, con acquisti mensili ridotti a 30 miliardi di euro al mese. Perfettamente in linea con le attese», ha commentato a caldo un operatore. «La decisione della Banca centrale europea di ridurre gli acquisti dei titoli è un passo importante nella giusta direzione», ha aggiunto Iris Bethge, amministratore delegato di Vob, associazione federale delle banche tedesche. Stando all’esperto, la Bce dovrebbe comunicare i prossimi passi in modo trasparente e l’inasprimento della politica monetaria dovrà essere realizzato «in modo consistente e rapido». Insomma, tutti felici in un colpo solo. I mercati che hanno avuto la conferma del sostegno prolungato della Bce, i tedeschi che ora si attendono quanto prefigurato dal capo della Banca centrale austriaca la scorsa settimana, ovvero un percorso di normalizzazione che arrivi addirittura a un rialzo dei tassi a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo del 2% di inflazione, Mario Draghi che pensa di aver guadagnato tempo almeno fino a primavera. E chi fa i conti con la platea di collaterale eligibile all’acquisto, visto che – in base ai calcoli – con il tapering da 60 a 30 miliardi al mese, la Bce si è garantita Bund disponibili all’acquisto fino al secondo trimestre del 2019, senza forzare le emissioni di Berlino (di fatto, una mission impossible a prescindere, soprattutto se al ministero delle Finanze andrà un membro dei Liberali).
«In termini di capacità di avere una posizione di politica monetaria che sostenga gli obiettivi d’inflazione, siamo ben forniti», si è premurato infatti di sottolineare Mario Draghi, in risposta a una domanda se Francoforte possa trovarsi in difficoltà nel trovare sui mercati titoli acquistabili se dovesse prolungare ulteriormente il Qe. Touché, stranamente qualcuno comincia a fare le domande scomode che io vi sottopongo da mesi. D’altronde, che si tratti di una sciarada lo ha confermato lo stesso Draghi in conferenza stampa, visto che nell’arco di cinque minuti ha dichiarato quanto segue: «La decisione di ridurre gli acquisti di asset riflette la nostra fiducia nella graduale convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo della Bce sotto ma vicino al 2% nel medio termine e la robusta e ampia espansione economica». Poi, a stretto giro di posta: «Rimane necessario un alto grado di accomodamento monetario per le pressioni a ribasso sull’inflazione e per supportare l’inflazione di fondo nel medio termine. L’inflazione di fondo, al netto di alimentari ed energia, ha mostrato una incremento da inizio 2017 e crescerà gradualmente nel medio termine, ma deve dare segni più convincenti di un trend di ripresa. I prezzi rimangono soprattutto deboli». Come dire, piove ma c’è il sole. Di cosa dobbiamo preoccuparci?
Tre cose. Primo, il teatrino di serenità andato in onda tra mercoledì e ieri fra Bruxelles, Barcellona e Francoforte: sintomo che esiste una regia politica più ampia e profonda di quanto si possa pensare. Secondo, il fatto che le decisioni di ieri non abbiano ottenuto l’unanimità del board, come confermato da Draghi. Terzo, il fatto che Vitor Constancio, l’uomo che Draghi utilizza per dare le notizie sgradevoli, mentre il titolare dell’Eurotower parlava in conferenza stampa, abbia risposto così ai giornalisti in un dialogo a margine: «I target saranno oggetto di discussioni, ma sono allo stesso tempo ragionevoli». Di cosa parlava? Le nuove regole proposte sugli Npl, le sofferenze bancarie. «È importante che le banche siano prudenti abbastanza nella gestione del rischio di credito. Niente è stato ancora deciso, dobbiamo procedere con cautela», ha aggiunto Constancio.
Insomma, la Bce ha strappato a Berlino altri mesi di acquisti per sostenere la giostra della ripresa artificiale, seppur dimezzati. Ma il potenziale massacro dei bilanci della nostre banche potrebbe essere stato il prezzo. Ieri è stata la giornata del sottinteso e del non detto. Ma state certi: gli effetti pratici non tarderanno a farsi sentire. Magari in concomitanza dell’inizio ufficiale della nostra campagna elettorale, ormai al via dopo il sì del Senato al Rosatellum-bis. La politica che conta, quella dei poteri davvero forti, è al lavoro.