I membri della Commissione europea Dombrovskis e Moscovici hanno firmato la lettera con cui Bruxelles chiede chiarimenti all’Italia sulle finanziarie 2017 e 2018 che non rispettano i target di riduzione del debito decisi in Europa. I saldi di finanza pubblica dell’Italia sono inferiori a quelli richiesti e l’incremento della spesa superiore; la Commissione prende nota della questione migranti, ma il messaggio rimane chiarissimo: l’Italia deve spendere di meno o raccogliere più tasse.



L’esigenza di fare efficienze e tagliare sprechi non è contestabile, ma è un mestiere difficile che richiede una forte coesione politica e che deve essere pensato bene per evitare di penalizzare la crescita o le fasce più povere della popolazione; oltretutto i benefici si vedono nel tempo. L’innalzamento dell’età pensionabile è facile e veloce, fa sicuramente spendere di meno, ma probabilmente è più deleterio che benefico per la crescita e non elimina “sprechi”. In un Paese che viene da due recessioni in meno di dieci anni, con la disoccupazione al 10%, avere la lucidità per prendere decisioni ponderate è molto difficile; il contesto politico che dovrebbe partorire quelle decisioni non promette bene a sei mesi dalle elezioni.



Si può legittimamente nutrire qualche dubbio su quale sia l’ordine giusto con cui raggiungere gli obiettivi di miglioramento del bilancio statale. La frammentazione politica a cui si assiste oggi in Italia è forse più il prodotto dell’austerity che la sua origine. Il Movimento cinque stelle dopo tutto a Milano è una frazione di quello siciliano. Esaminare le colpe della situazione attuale è una questione a parte. Oggi la questione è quale conseguenza avrà la lettera della Commissione europea. Tutto fa ritenere che l’Italia dovrà consegnare all’Europa che si interroga anche sul 2017 un pacchetto di riforme dall’effetto immediato. Anche il migliore dei governi avrebbe bisogno di tempo per pensare a una manovra di efficientamento e taglio degli sprechi e anche se pensasse ai tagli più giusti gli effetti non si vedrebbero in tempo compatibili con le richieste europee.



La previsione più facile è che l’Italia, per accontentare l’Europa, approverà misure di “austerity” alzando le tasse e tagliando la spesa a caso. L’effetto di queste manovre è negativo per la crescita. Siccome in altri governi europei queste richieste non ci saranno e nessuno si sogna di dire alla Germania che il suo surplus di bilancio è una violazione degli accordi esattamente come quelle italiane, il risultato sarà un’ulteriore divaricazione dell’andamento economico tra Europa “core” e periferia e in Italia tra sud e nord.

Queste osservazioni sono di buon senso, non servono lauree in economia, in econometria e nemmeno in storia. Basta aver letto i giornali negli ultimi anni. Se queste cose le sappiamo noi le sanno sicuramente anche quelli della Commissione europea. Per questo vale ancora una volta la pena chiedersi cosa ci sia alla fine di questo percorso se questa traiettoria non viene interrotta. Le situazioni di squilibrio che non si ricompongono alla fine diventano insostenibili e si rompono. Due giorni fa Scheuble è tornato a dire di aver proposto un’uscita “temporanea” della Grecia dall’euro. Questo è sicuramente un modo per risolvere uno squilibrio, almeno per l’ex ministro delle Finanze tedesco. Con una piccola nota: se la Grecia fosse uscita dall’euro dieci anni fa il conto l’avrebbero pagato anche tedeschi e francesi, i creditori, se esce oggi dopo che l’esposizione è stata quasi cancellata e redistribuita il conto lo pagano solo i greci, che oltretutto oggi fanno quello che l’Europa gli dice di fare.