Di “battaglie di Bankitalia” ne sono state combattute molte. Quella appena conclusa non è stata, alla fine, la più sanguinosa. Il governatore uscente Ignazio Visco – attaccato sulla riconferma dal Pd di Matteo Renzi e da M5S – è rimasto sulla sua poltrona per decisione del premier Paolo Gentiloni convalidata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Diversamente da Visco, Antonio Fazio si vide costretto alle dimissioni a fine 2005. Formalmente venne raggiunto da un avviso di garanzia per abuso d’ufficio nell’esercizio delle vigilanza sulla guerra bancaria dell’estate 2005: Antonveneta contesa dall’olandese Abn Amro e Popolare di Lodi; Bnl al centro di un’Opa dello spagnolo Bbva e di una contro-Opa di Unipol e immobiliaristi romani (a lato Stefano Ricucci in scalata a Rcs). La Procura di Milano e poi quella di Roma intervennero contro Fazio: usando per la prima volta l’arma non convenzionale delle intercettazioni pubblicate in tempo reale sui media. Il governatore in carica ebbe la peggio: dopo l’abbandono fu processato e condannato mentre in Via Nazionale approdava Mario Draghi proveniente dalla Goldman Sachs.
Fazio venne accusato di aver vigilato in modo anomalo, indebolendo il sistema bancario: gli stessi “capi d’imputazione” su cui Visco ha finora parato un paio di avvisi di garanzia e si accinge a difendersi davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta. Lo scontro fu violento, su più dimensioni: la resistenza del governatore al globalismo finanziario (anzitutte la Ue allora ultraliberista e la City di Londra) e – all’interno – le reazioni al ruvido dirigismo di un governatore cattolico, allontanatosi dalla tradizione laica della Banca d’Italia.
L”ascesa di Fazio – come poi quella Visco nel 2011 – non era stata liscia. Nel 1993 Ciampi era divenuto premier istituzionale: il suo successore immediato a Palazzo Koch era il direttore generale Lamberto Dini, un ex dirigente del Fondo monetario internazionale molto vicino a Giulio Andreotti. Un nome sgradito a Ciampi e all’establishment Bankitalia, che premeva per Tommaso Padoa Schioppa, vicedirettore generale anziano: la mediazione fu trovata sul secondo vicedirettore (con procedure di nomina interna da cui erano ancora formalmente esclusi sia governo che Parlamento). Padoa Schioppa andò prima a presiedere la Consob e poi fu il primo italiano nell’esecutivo Bce. Durante la crisi del 2005 sembrava essere il candidato naturale a rientrare a Roma da governatore, ma gli fu preferito l’esterno Draghi: per la prima volta grazie al “concerto” fra premier (Silvio Berlusconi) e Quirinale (Ciampi).
II complesso dualismo fra “cattolici e “laici” e fra “politica” e “tecnocrazia” ha stabilmente intessuto la storia di via Nazionale: anche nella battaglia forse più lunga e impegnativa. Paolo Baffi lasciò Bankitalia nel 1980 dopo meno di cinque anni (il mandato allora era a vita). Gettò la spugna dopo il clamoroso arresto del suo vicedirettore generale Mario Sarcinelli per vicende legate al crac della Banca Privata Italiana del finanziere Michele Sindona (sempre sul terreno della vigilanza).
La lunga parabola di Sindona – poi culminata nel fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi – era stata connotata dal confronto con la Mediobanca di Enrico Cuccia: partita arbitrata da Guido Carli, governatore di lunghissimo corso (1960-1975). Figura di fatto bipartisan (era stato in precedenza ministro economico nei governi centristi e fu in seguito presidente di Confindustria e ministro del Tesoro negli ultimi governi Andreotti) Carli era orientato a lasciare il timone a Ferdinando Ventriglia, amministratore delegato del Banco di Roma: che fu però lambito dall'”inizio della fine” delle avventure finanziarie di Sindona. La stessa nomina di Baffi – di per sé rigorosa nella scelta di un prestigioso economista-banchiere interno a Via Nazionale – maturò quindi sulla rottura di vari equilibri: solo in parte rimarginata dal lungo governatorato Ciampi (altro prodotto laico dell’ufficio studi di Palazzo Koch).
Visco nel 2011 non è stato il primo vicedirettore giovane a essere catapultato sulla poltrona di governatore da un muro contro muro: quello fra Draghi (promosso in Bce e favorevole al suo direttore generale Fabrizio Saccomanni) e il ministro Giulio Tremonti, che supportava Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro: l’incarico che aveva lanciato lo stesso Draghi). Grilli è diventato poi brevemente ministro nel governo Monti, mentre Saccomanni lo è stato in quello Letta: ed è stato l’unico vero candidato a sostituire in extremis Visco. Il quale è ora il primo governatore riconfermato ma anche il primo ad essere processato in Parlamento per le ombre sulla vigilanza bancaria. Naturalmente fino alla prossima “battaglia di Bankitalia”.