E la letterina dall’Europa arrivò. Piccola e garbata, per ora. Ma è arrivata. Come vi avevo detto il giorno dopo il voto tedesco che apriva all’ipotesi di ingresso dei falchi liberali nel nuovo esecutivo, l’epoca d’oro delle minacce quasi mai senza seguito (o con la sterilizzazione a opera di Moscovici, santo patrono di Roma in sede Ue) di Schaeuble era finita: ora i conti dovevano cominciare a tornare. E quelli lasciati in sospeso andavano saldati. Ma attenzione, quello inviatoci la scorsa settimana è solo un avvertimento: entro oggi, infatti, il ministero delle Finanze dovrà rispondere e fornire i chiarimenti sulla manovra richiesti da Bruxelles rispetto al buco da 1,7 miliardi evidenziato nei conti, ma, per ora, sarà sufficiente qualche supercazzola stile conte Mascetti di Amici miei per rabbonire tutti. Come l’Ue ha atteso il voto tedesco prima di muovere anche solo un foglio dal tavolo, state certi che prima del voto in Sicilia nessuno muoverà l’artiglieria pesante contro di noi: piaccia o meno, restiamo too big to fail. Soprattutto con il monito di Mario Draghi rispetto allo scudo del Qe ancora presente nelle orecchie di tutti. Ci si giocherà la solita ritrita copertura grazie alla lotta all’evasione fiscale, un evergreen come Lucio Battisti e tutti plaudiranno. Tanto più che la tregua potrebbe formalmente e praticamente anche essere più lunga, almeno se leggiamo tra le righe del Def, da ieri finalmente all’attenzione delle Aule parlamentari.
E cosa ci troviamo infatti all’interno? Delle belle misure elettorali. Arrivano le detrazioni fiscali per i pendolari che acquistano un abbonamento ai mezzi pubblici, mentre si stringono un po’ i cordoni della borsa per quanto riguarda i risparmi offerti a chi vuole cambiare gli infissi e si allargano quelli per chi sistema giardini e terrazzi. Sono solo alcune delle molte norme contenute nella Legge di bilancio che oggi in Senato inizia il suo iter parlamentare. Ecco allora che filtra il provvedimento limato definitivamente dal governo: una novantina di pagine per contenere 120 articoli, che cominciano dall’attesa disattivazione dell’aumento Iva per il 2018. Restano però le clausole di salvaguardia dal 2019, ancora in forma di tagliola sull’Iva: l’aliquota al 10% salirà di 1,5 punti dal gennaio 2019 e poi di ulteriori 1,5 punti dal 2020. Quella del 22% aumenta di 2,2 punti dal 2019 e poi di altri 0,7 punti dal 2020, poi ancora di 0,1 punti da 2021. Anche sulle accise resta la minaccia di un rincaro. Della serie, ci pensiamo dopo il voto politico, per ora vendiamo la narrativa del governo buono che non fa aumentare l’Iva. E poi via di provvedimenti spot.
Tra le principali novità per i cittadini c’è appunto il ritorno delle “agevolazioni fiscali sugli abbonamenti al trasporto pubblico”, custodite nel quarto articolo. In particolare, si modifica il testo unico sulle imposte inserendo la possibilità di detrarre dall’imposta lorda il 19% del costo degli abbonamenti trasporti pubblici locali, regionali e interregionali fino a un massimo di 250 euro. La detrazione si estende al datore di lavoro, che potrà farla valere nel caso sostenga le spese per i mezzi pubblici per conto dei dipendenti o dei loro familiari, oppure preveda forme di rimborso nei loro confronti. Al capitolo della lotta alla povertà sale del 10% – nei casi di famiglie numerose – l’assegno (fino a 530-540 euro) e si allarga la platea che può avere accesso al reddito di inclusione (Rei). E se calano un po’ e agevolazioni per gli interventi di riqualificazione ed efficienza energetica, ecco che arriva il bonus verde, con una detrazione del 36% delle spese relative per la sistemazione a verde di aree scoperte di edifici e immobili esistenti. Utilissimo, roba che lo spread si è ritratto come una lumaca nel guscio al solo nominarlo.
Infine, la mancetta in stile Lauro (o Renzi, come preferite): tra le novità fiscali in arrivo, c’è infatti la crescita delle soglie di reddito per ottenere il bonus Irpef da 80 euro. Da 24.000 si passa a 24.600 e da 26.000 a 26.600. Un modo, soprattutto, per salvare il bonus in favore dei dipendenti pubblici, che con il rinnovo del contratto supererebbero la soglia: e voi avete idea di che platea elettorale rappresenti il pubblico impiego? Quanto al lavoro, il bonus permanente per l’assunzione di giovani under 30 vale per il solo 2018 anche per i contratti stabili a chi non ha ancora compiuto 35 anni. Lo sgravio del 50% dei contributi con tetto a 3mila euro per 3 anni scende a 1 solo anno in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un contratto di apprendistato, mentre il bonus è “portabile” senza limiti di età e sale al 100% per l’assunzione dall’alternanza scuola lavoro. Insomma, la parola magica è ancora una volta “bonus”. Si fa come dal pizzicagnolo: si segna, si segna e poi al conto ci si pensa dopo, sperando magari in una vincita al Superenalotto che risolva tutto.
Ma, attenzione, perché ormai siamo alla logica del Senato romano e delle province: nel primo si discuteva apertamente e ferocemente, poi si decideva quale versione mandare alle seconde per rabbonirle. Il Senato, però, in questo caso non è Roma ma fuori. Guarda caso, in Germania. E il dibattito è già in atto. «Gli acquisti dei bond (all’interno del programma di Qe della Bce, ndr) sono solo un piccolo risarcimento per il fatto che, a causa del basso tasso di inflazione, noi perdiamo miliardi di euro. Questo va spiegato una buona volta ai tedeschi». Parole e musica del nostro ennesimo commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, in un’intervista alla Welt. E ancora: «Con un tasso al 2% di inflazione, l’Italia procederebbe meglio che con gli attuali programmi di acquisto». Gutgeld respinge quindi il sospetto che Roma voglia approfittare in modo permanente dell’acquisto dei bond da parte della Bce: il debito potrebbe essere abbattuto anche senza l’acquisto dei bond di 10 punti, al 123%, afferma, stando quanto riporta la Welt.
«Ogni volta che il Fmi viene a Roma, lo spiego anche a loro. Non abbiamo bisogno del pareggio di bilancio. Se il deficit resta sotto il 3%, è più che sufficiente per ridurre lentamente il nostro debito», dice Gutegeld. Il problema è proprio quel lentamente, un avverbio che non solo a Berlino ma anche a Bruxelles non intendono più vedere associato ai nostri conti pubblici e alla loro messa in ordine. Prosegue l’intervista: «L’Italia è riuscita nella svolta, intendiamo restare nell’euro riformarci per restarci con successo. Abbiamo diminuito lo scarto della crescita con il resto d’Europa di un punto percentuale e continueremo a ridurlo, Inoltre, sul fronte dell’export l’Italia è più veloce della stessa locomotiva tedesca. Nel giro di 4 trimestri, il tasso di disoccupazione è stato sensibilmente ridotto. La Spagna ha avuto bisogno di 10 trimestri per mostrare i primi risultati». E qui, scusate ma devo essermi perso un passaggio: in quale strano mondo, un governo già sotto osservazione e che sta preparando la manovra di bilancio, fa fare un’intervista con un giornale tedesco al proprio commissario per la spending review, categoria che in Italia si cambia più rapidamente dei calzini, sottolineando che l’Italia intende restare nell’euro? Chi ha sentito necessità di quella rassicurazione? E perché è dovuto essere Gutegeld a darla e non Padoan o lo stesso Gentiloni, visto che parliamo di un argomento vagamente delicato e dirimente e la Welt è il principale giornale tedesco, tutt’altro che tenero con l’Italia?
Stiamo forse, per l’ennesima volta, giocando su due tavoli: bonus, mance e narrativa del Bengodi della ripresa in Italia e obbligo di rassicurazioni e ricatto perenne appena varcati i confini, anche solo editoriali? Tanto più, se si presta attenzione all’ultima frase: «Noi siamo nell’Ue e siamo per l’euro. Non vogliamo nessuna altra moneta e vogliamo riformarci in modo da poterci restare con successo. Una svalutazione della propria moneta non è più possibile. Lo abbiamo interiorizzato anche in Italia». Sarà, ma a me non piace questa sorta di rassicurazione preventiva e pre-elettorale. Proprio per niente.