Il referendum catalano è al centro della cronaca da diversi giorni, ma il mercato non sembra essersi particolarmente preoccupato per una vicenda che è sulle prime pagine dei giornali da domenica. Lo spread tra obbligazioni statali tedesche e spagnole ha reagito negativamente, ma non si è avuto nessun crollo, l’euro si è indebolito, ma anche in questo caso la variazione rispetto a venerdì è stata contenuta. Per i mercati le agitazioni degli ultimi giorni sono state poco più che un rumore di fondo e relegate a temi di secondaria importanza, anche se, in teoria, si starebbe parlando del possibile smembramento di uno dei Paesi più grandi dell’Unione europea. Questa vicenda, in questa fase, non viene giudicata come determinante per l’evoluzione dell’Unione europea e in un certo senso perfino per gli spagnoli.



Possiamo utilizzare il cambio euro/dollaro come indicatore degli umori del mercato rispetto alle ultime vicende europee. Le elezioni tedesche hanno influito sul cambio euro/dollaro molto di più del referendum catalano. Il cambio euro/dollaro fino a dieci giorni fa sembrava ben avviato oltre l’1,20 con un ulteriore rafforzamento dell’euro; l’economia europea sta andando bene, la disoccupazione scende e, soprattutto dopo la vittoria di Macron, non si vedono all’orizzonte possibili elementi di instabilità per l’attuale costruzione europea. Finite le elezioni in Germania, il percorso dell’euro invece si è interrotto e i mercati hanno deciso che fosse meglio stare a guardare per un po’ prima di continuare a comprare la valuta comune. L’indebolimento della Merkel è stato letto come una possibile fonte di tensioni per il progetto europeo.



Il referendum catalano invece non sposta la questione principale che è quella sull’euro e sull’Europa. La questione catalana, che comunque non diventerà decisiva nei prossimi trimestri, non mette in discussione “l’Europa”. L’Unione europea è perfettamente compatibile con una “Europa delle regioni” e non cambierebbe molto, per chi crede nell’Unione europea, se la Catalogna diventasse un nuovo Stato “indipendente” all’interno della costruzione europea attuale con i suoi meccanismi, un parlamento svuotato di potere, e i suoi rapporti di forza. La Spagna non conta niente comunque. Conta invece quello che succede a Berlino e se la politica tedesca cambia strategia.



L’Europa entra in crisi quando l’economia rallenta o un membro è in crisi economica. In queste fasi emergono le contraddizioni di un’unione che non ha meccanismi di redistribuzione interna, che non ha una politica di crescita e che in realtà è controllata da un duopolio che mette davanti i propri interessi ignorando i problemi degli altri o sfruttandoli nella competizione interna. Una crisi spagnola o di uno stato dell’Europa periferica che mettesse in discussione l’appartenenza al progetto europeo o che generasse un movimento politico abbastanza forte e apertamente anti-europeo preoccuperebbe i mercati, soprattutto se fosse percepito in grado di rompere l’attuale equilibrio in cui il potere è detenuto da due stati. La crisi catalana non rientra però in questa casistica e oltretutto oggi non siamo in una fase di crisi economica o finanziaria.

Il processo di svuotamento delle sovranità nazionali verso istituzioni “europee” procede in questo momento senza intoppi. Ieri, per esempio, Dijsselbloem ha detto ai greci quando fare le elezioni e nessuno ha detto niente. L’intoppo può venire dalla Germania nella misura in cui aumenta l’austerity, facendo esplodere le differenze, e decide di preservare un equilibrio che esclude tutti tranne la Francia. Il referendum catalano, soprattutto in questa fase economica, invece non cambia niente.