Siamo in pieno nei giorni dell’irresponsabilità. Quanto colposa o dolosa non, so ma propendo per la seconda. Non so se ci avete fatto caso, ma sull’onda della crisi catalana da qualche giorno i talk-show stanno operando una strisciante opera di manipolazione morbida: accomunare sempre di più il referendum iberico a quelli di Lombardia e Veneto del 22 ottobre. Certo, il tutto viene fatto in punta di distinguo iniziale rispetto alle diverse nature fra le due iniziative, ma, come carattere generale, c’è sempre un unico epilogo: se otterranno il “Sì” alla consultazione, fino a dove si spingeranno le due Regioni del Nord? 



È un pensiero stupido e senza alcun costrutto ma il messaggio manipolatorio è efficace: a forza di accomunare le due cose, nella mente di molti – penso in prima istanza ai più anziani, quelli che potrebbero optare per l’astensione – potrebbe prendere forza un parallelismo simbolico che porti a pensare che l’istanza autonomista e quella indipendentista siano la stessa cose e che, stante la violenza scoppiata domenica scorsa a Barcellona, si tratti di un qualcosa che è meglio maneggiare con cura. Anzi, lasciare proprio perdere. Parliamoci chiaro, qualcuno ha tutta l’intenzione di puntare a un flop delle due consultazioni regionali. 



Andy Warhol diceva che tutti hanno diritto a 15 minuti di celebrità nella vita, ma, scusate la mia andreottiana sfiducia, mi pare davvero strano che Giorgia Meloni abbia deciso di viverli proprio adesso, a freddo, attaccando le due consultazioni in nome dell’unità del Paese (che i due referendum, costituzionalissimi, non mettono minimamente in discussione) e in netto contrasto con le leadership regionali del suo stesso partito, Viviana Beccalossi in testa. Perché, cara Meloni, scomodare la patria, quando si tratta unicamente di voler rivendicare un ruolo nella coalizione, operazione partita già con il “no” al Rosatellum 2.0, bozza di legge elettorale che vede invece d’accordo Forza Italia e Lega Nord? Perché ammantare di sacri valori ciò che è unicamente calcolo politico per non rimanere schiacciata fra i due alleati più ingombranti, stante la natura utopica di arrivare a primarie di coalizione nel centrodestra? O, forse, questa uscita è stata concordata proprio con Arcore, visto che il primo risultato ottenuto è far emergere il sempre maggiori dualismo interno proprio alla Lega, fra il sovranismo-nazionalista di Salvini e la più genuina natura territoriale e autonomista di Maroni? 



Comunque sia, non è certo il bene del Paese o addirittura della patria quello che si persegue, solo calcolo. E che dire di Mdp e dei suoi leader, protagonisti di una pantomima patetica sul Def, cui il governo ha ceduto, aprendo a interventi sul super-ticket come se fosse quella specifica mossa l’interesse reale degli scissionisti del Pd? Anche in questo caso, siamo al teatro. Ma dell’assurdo. Si arriva a paventare una crisi di governo di fine legislatura, di fatto mai esistita realmente nemmeno per un minuto, solo per far fuori definitivamente Massimo D’Alema e imporre la figura di Giuliano Pisapia come leader federato di ciò che sta a sinistra proprio del partito di governo: perché, anche in questo caso, non essere chiari e mettere in mezzo un tema fondamentale con la sanità, sventolando il pannicello caldo del super-ticket come una sacca di monete d’oro rubata allo sceriffo di Sherwood? 

Per carità, siamo di fronte a tatticismi politichesi cui siamo abituati da decenni, peccato che il momento sia un po’ diverso. Vi siete chiesti come mai, ieri, le banche abbiano zavorrato i listini di Milano e Madrid, con lo spread spagnolo ai massimi di marzo? Le Spagna, infatti, paga l’effetto irresponsabilità esattamente come noi, ma con l’aggravante macro del caos catalano: il quale, ora vede sell-off limitate, ma che, se come immagino, la tensione dovesse protrarsi, potrebbe portare a interventi speculativi peggiori. La leadership catalana, infatti, sta scherzando con il fuoco: dopo aver trionfalmente diffuso i dati del referendum di domenica, ha infatti confermato martedì sera alla Bbc che la dichiarazione di indipendenza unilaterale è questione di giorni. E lo ha fatto in contemporanea con il duro monito del Re di Spagna nel discorso alla nazione: bene, ora si parla già di un atto di proclamazione che slitterà all’inizio della prossima settimana e nessuno nega che vi siano trattative segrete con Madrid già in atto. Non siamo all’irresponsabilità assoluta? 

O, forse, come vi dicevo la scorsa settimana, al piano preordinato. Perché sempre ieri a picchiare duro sui titoli bancari più deboli ci ha pensato l’annuncio della Bce di nuove regole per le sofferenze bancarie da gennaio: unite questa mossa draconiana ai timori di ritiro parziale delle misure di stimolo del Qe e cosa avrete? Gli indici dei Paesi del Club Med più forti messi sotto stress. Non riesco a vedere questa contemporaneità di fibrillazioni interne e shock esterni come qualcosa di casuale, mi spiace. Qualcuno ha un’agenda da portare avanti e qualcun altro sta aiutandolo, ancorché muovendosi nel solco del proprio interesse politico particolare o di testimonianza. Non a caso, i Cinque Stelle – gente che sa fiutare l’aria – sono completamente spariti dai dibattiti e dalle cronache politiche: attendismo che, unito a quanto sta accadendo a destra come a sinistra, suona sospetto. 

C’è poi da ricordare due cose. Primo, il voto in Sicilia del 5 novembre che potrebbe terremotare il Pd, quantomeno nel suo assetto di leadership renziana. Secondo, il fatto che passato il voto in Bassa Sassonia del 15 ottobre, in Germania cominceranno le grandi manovre politiche per la formazione del nuovo governo, il quale vedrà con quasi certezza alle Finanze un esponente liberale, al netto dell’elezione di Schaeuble a capo del Bundestag: insomma, un falco che piomba sulla scena a ridosso del board della Bce del 25-26 ottobre e in piena discussione sul Def, con almeno 5 miliardi che ballano, poiché ancorati a una voce tutt’altro che sicura come il recupero dell’evasione. Non ci sono un po’ troppe coincidenze che si accumulano? 

Senza contare, ciliegina sulla torta, proprio i referendum di Veneto e Lombardia del 22 ottobre, i quali in caso di flop potrebbero rimescolare e non poco i rapporti di forza nel centrodestra. I mercati si limiteranno agli scossoni di ieri, a fronte della messe di avvenimenti in vista? Oppure potrebbero, quantomeno, testare il grado di reazione della Bce ai picchi di irresponsabilità politica in atto in Italia e Spagna? Staremo a vedere. Ma davvero si sta scherzando col fuoco.