Il referendum sull’indipendenza della Catalogna non ha particolarmente preoccupato i mercati, in compenso ha cominciato ad alimentare una certa lettura sulle fragilità dell’Europa e in particolare sui possibili movimenti indipendentisti. In questa letteratura si comincia a includere anche il prossimo referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto. Le analisi degli investitori sono particolarmente raffinate e sicuramente mettono insieme questioni molto diverse, ma colgono un fenomeno che c’è. Prendiamo il caso italiano: quello che è certo è che dal 2008, crisi Lehman, e poi dal 2011, l’austerity, la forbice tra nord e sud si sia allargata in modo evidente. Nel 2011 il tasso di disoccupazione al nord Italia era del 5,7% e quello al sud del 13,3%: oggi i due dati stanno rispettivamente al 6,6% e al 19,2%. Al nord il tasso di disoccupazione è aumentato appena dello 0,9% e al sud di quasi il 6%. È una differenza impressionante considerato che stiamo parlando dello stesso Stato e che contribuisce a spiegare come mai i populismi abbiano fortune così alterne tra le diverse regioni.



Una divergenza così pronunciata è un enorme incentivo a perseguire destini diversi. I benefici dell’autonomia, in un certo senso, diventano più appetibili quanto più le differenze economiche aumentano; il contributo al bilancio statale di una regione che ha un terzo del tasso di disoccupazione di un’altra diventa sproporzionato rispetto ai benefici che riceve. Ci si deve chiedere cosa possa spiegare una tale divergenza di andamento considerato che lo Stato è lo stesso e non ha cambiato politica. La spiegazione migliore è che l’autonomia di spesa dello Stato italiano e la redistribuzione che avveniva a livello centrale con il trasferimento di poteri all’Europa e i vincoli di bilancio non siano stati sostituiti da niente. Gli investimenti dello Stato italiano al sud, che avvenivano con i soldi di tutti attraverso “Roma”, non sono stati sostituiti dai soldi di tutti gli europei che arrivano “attraverso Bruxelles”. Il nord, Milano in primis, riesce comunque ad agganciare i mercati internazionali sia finanziari che in termini di attrazione di investimenti perché ha un’economia privata forte e un mercato di consumatori estremamente interessante, ma questa dinamica al sud manca quasi completamente in una fase in cui gli investimenti fluiscono verso il centro tedesco-francese dell’Europa. 



Il modello europeo e gli attuali rapporti di forza all’interno dell’Europa penalizzano ed escludono l’Italia; questa però è un’imprecisione. Il nord Italia ha indicatori economici sostanzialmente equiparabili a quelli dell’Europa “core” franco-tedesca anche dopo le crisi, mentre il sud Italia neanche per sbaglio. Estremizzando si può dire che l’Italia in quanto tale non può entrare nell’Europa core, ma una sua parte potrebbe. In una fase in cui si parla di Europa delle regioni ci si dovrebbe chiedere se tutte le regioni entrano nella stessa Europa allo stesso modo.



È una domanda legittima, perché come sappiamo con certezza è in essere un asse privilegiato tra Germania e Francia che prevede un surplus di integrazione rispetto a Spagna, Italia o Grecia. La questione è se ci sia un secondo livello per cui la “Padania” o il lombardo-veneto abbiano a tendere un’integrazione all’Europa core superiore a quella della Calabria e se in questo processo magari ai primi venga concesso un salto in avanti e ai secondi venga imposto un passo indietro rispetto alla situazione italiana attuale. Questa apparente enormità ha in realtà tutto il senso del mondo rispetto al quadro che si sta delineando. L’esplosione della questione catalana non è indifferente rispetto alla crisi economica della Spagna che separa la parte più produttiva e “internazionale” dal resto del Paese e l’avvicina al cuore dell’Europa.

In assenza di uno Stato centrale o con lo Stato centrale italiano impossibilitato dai vincoli di bilancio a fare qualsiasi politica di sviluppo, e anzi a applicare l’austerity, le differenze tra nord e sud Italia sono destinate ad aumentare e con esse le frizioni; le crisi economiche, come quella del 2011, determinano momenti di frattura. Questa traiettoria non è reversibile all’interno della cornice europea attuale. Rimane da chiedersi se l’accelerazione dell’integrazione europea per cui lavora Macron includa tutta l’attuale area euro o solo alcune parti ed eventualmente quali siano i gradi di integrazione previsti per le diverse componenti e poi quali siano le forze che si possano mettere in atto quando ci sarà la prossima “normale” fase di rallentamento globale. Abbiamo visto cosa sia accaduto in Italia con l’ultima del 2011.

Per estremizzare: l’Europa è l’unica prospettiva che ci si deve augurare per l’Italia o solo per una sua parte? E in questo secondo caso cosa rimane nella sostanza dell’Italia ormai svuotata di sovranità e significato? Basta dirlo chiaramente. L’Italia aveva tantissimi difetti, ma almeno si poteva votare per un parlamento che contava qualcosa. L’Europa ha tantissimi pregi, ma per il momento non si vota su niente né al nord, né al sud.