Presto il Parlamento discuterà la Legge di bilancio (peraltro non ancora finalizzata anche se il relativo ddl dovrebbe essere approvato dal Governo e inviato alla Commissione europa prima del termine della settimana iniziata). Il contesto è poco favorevole. Per esprimersi in termini educati. Sotto il profilo puramente politico (che lasciamo analizzare ad altri) sembra di essere un clima simile a quello descritto ne L’Imperio di Federico De Roberto (autore del più noto I Viceré). L’Imperio, peraltro mai completato, descrive la Montecitorio (allora i Senatori erano di nomina regia) del trasformismo. Oggi la stessa legge elettorale viene “ritoccata” per rendere possibili le alleanze più strane tra partiti di una certa consistenza e ‘“cespugli” al fine, sin troppo palese, di limitare il probabile successo del Movimento Cinque Stelle. Sotto il profilo economico, piovono cattive notizie (controcorrenti alla buone notizie del Documento di economia e finanza), ma nessuno sembra darsene conto. Solo due quotidiani hanno ripreso, tra le notizie “brevi”, il comunicato di Moody’s del 6 ottobre secondo cui il rating dell’Italia resta a Baa2 ( l’equivalente di un 6–) e l’outlook “negativo”. Nelle prossime settimane usciranno le valutazioni delle altre maggiori società di rating . È auspicabile che Governo e Parlamento facciano una riflessione prima di varare una Legge di bilancio basata su ipotesi eccessivamente ottimistiche.



Sempre il 6 ottobre, ma a tarda ora, i 20 principali istituti di analisi econometrica e previsioni (tutti privati, nessuno italiano) hanno pubblicato il loro aggiornamento mensile. Per l’eurozona in generale, e per l’Italia in particolare, c’è poco da stare allegri: le previsioni non sono di un rafforzamento della crescita, ma di un rallentamento del ciclo economico. Per l’area dell’euro, il rallentamento sarebbe leggero (la media dei 20 istituti vede uno scivolamento da una crescita del 2% nel 2017 a una dell’1,8% nel 2018). Più marcata per l’Italia, dall’1,3-1,4% nel 2017 all’1,1% nel 2018. Per l’anno prossimo il Def prevede una crescita dell’1,5%, ossia quasi un terzo di più della media delle stime dei principali istituti internazionali, con inevitabili seri riflessi sulla finanza pubblica.



In questo quadro, si è ormai accantonata quella spending review che avrebbe dovuto comportare risparmi significati alla finanza pubblica. Invece, nei corridoi di Montecitorio e di Palazzo Chigi, si parla di misure o nel ddl di Bilancio o negli emendamenti che implicano aumenti di spesa: nuova immissione di precari nella scuola, revisione dell’attuale legislazione pensionistica per facilitare pensionamenti anticipati (c’è anche chi propone di ripristinare le “pensioni di anzianità”), redditi di inserimento o di cittadinanza, incentivi e bonus di qua e di là.

Il Governo che verrà formato dopo le elezioni si troverà, con un debito pubblico travolgente, ad azzerare, ancora una volta in via amministrativa, quel po’ di investimenti pubblici per i quali esistono progetti immediatamente cantierabili. Con disavanzo netto delle pubbliche amministrazioni ben superiore a quanto concordato con le autorità europee e con un debito pubblico in forte ascesa non solo per il prevedibile aumento dei tassi d’interesse. A che tassi si dovranno vendere le nostre obbligazioni per rifinanziarlo?