Viene in mente una famosa barzelletta, magistralmente sceneggiata da Gigi Proietti: di quel tale che, in un bar, chiede un cappuccino e un maritozzo; e quando il barista gli risponde, garbato: “Mi spiace, abbiamo finito i maritozzi”, risponde: “Ah, va bene: allora mi dia un tè e un maritozzo”, e così via, cambiando sempre la bevanda ma insistendo sul maritozzo. Ebbene: le compagnie telefoniche si stanno comportando come quel tale e il pagamento di 13 bollette all’anno, ovvero di una ogni 28 giorni, è per loro il maritozzo proibito. Di fronte alla linea per ora granitica del Parlamento, di abolire la tariffazione a 28 giorni con un emendamento alla Legge di bilancio, anziché prendere atto della realtà, insistono con il loro lavoro di lobbying, legittimo – per carità – ma petulante.
Ne hanno ben donde: questo scherzetto della tredicesima bolletta vale la bazzecola di un miliardo, e quindi corrisponde a un aggravio dell’8,6% sulla spesa dei clienti. Perdere un simile bengodi è per i telefonici un danno di cui fanno bene a preoccuparsi. Ed essendo la nostra legislazione antitrust del tutto cervellotica, si appigliano ai cavilli di solito funzionanti per difendersi anche da questa inattesa botta di moralizzazione. Però arrivare al punto da presentare le fatture a 28 giorni e il miliardo in più che ne ricavano all’anno come un favore fatto ai consumatori, è veramente faccia tosta.
Sentiamo il ragionamento. Dicono i lobbisti ai parlamentari che la maggior parte dei clienti utilizza abbonamenti con quantitativi di consumo (chiamate e messaggi) definiti in blocchi settimanali o al massimo mensili, ma in tal caso di mesi di 28 giorni perché corrispondenti a 4 periodi settimanali. Consumato il quantitativo previsto entro il periodo convenuto, il resto del consumo, che si definisce solitamente “sopra soglia”, viene tariffato a prezzi altissimi, per cui i consumatori pagano molto ma molto di più per quella piccola quantità di traffico “sopra soglia” che appunto consumano. Secondo il sofistico ragionamento dei lobbisti, quanto più lungo diventa il periodo ammesso per il consumo del quantitativo fisso a forfait, tanto più sarà probabile per gli utenti esaurire questo quantitativo a forfait prima della scadenza del periodo e quindi ritrovarsi a pagare il “supero” alle altissime tariffe del post-soglia.
Ebbene: ammesso e non concesso che questo arzigogolato ragionamento possa corrispondere al vero, in qualche caso, è evidente quale sarebbe la soluzione giusta: che cioè il traffico sopra soglia venisse sì tariffato più caro, ma non quanto accade oggi. Invece oggi i rincari sono pazzeschi e i lobbisti li difendono e ne difendono l’applicabilità pretendendo di utilizzare un meccanismo iniquo di marketing (che di fatto incentiva il ricorso a pacchetti “forfait” sempre più grandi e quindi comunque cari), per difendere un altro meccanismo iniquo di marketing, cioè appunto la bollettazione a 28 giorni.
Ma bisogna capirli, poveretti, si diceva: innanzitutto, perché qui sono in gioco tanti soldi; secondo, perché con la loro protervia difensiva beccano in realtà in castagna il sistema in una delle sue tante contraddizioni. In un Paese a economia di mercato, l’Antitrust non può limitarsi a dire (e fare) quello che tutti pensiamo, che cioè le compagnie telefoniche guadagnano scandalosamente troppo per quel che investono e devono abbassare i prezzi; l’Antitrust deve semplicemente vigilare sul fatto che gli oligopoli che intossicano la nostra economia che in realtà non è “di mercato” ma di “pseudo-mercato” – tanto più nei settori in concessione, come quello telefonico – e quindi anziché poter intervenire a piedi giunti contro questa stortura dell’eccessivo guadagno, deve trovare qualsiasi espediente di contorno per perseguire comunque quell’effetto-calmiere che evidentemente la società civile invoca. Quindi, a fronte dell’espediente predatorio della bollettazione a 28 giorni, l’Antitrust ricorre a un contro-espediente sanzionatorio. Meno male che si sia decisa a far così, ma effettivamente siamo a uno scontro tra espedienti.
Però c’è da ricordarsi di qualcosa in più: nel triopolio cui è attualmente improntato il mercato italiano – dopo la fusione Wind-3 e in attesa che il quarto incomodo, il francese Free-Iliad, intervenga sul mercato a riportare un po’ di concorrenza vera – tutti gli operatori fanno sostanzialmente le stesse cose. Non in base a espliciti accordi di cartello, questo nessuno l’ha mai potuto dimostrare, ma in base a un modo di lavorare impostato sulla comune e spontanea difesa dell’interesse collettivo di categorie: mantenere alti i margini. La vecchia 3, che per una serie di ragioni strategiche aveva per anni rappresentato la principale eccezione, se non l’unica, a questo schema di fatto, è stata normalizzata attraverso la fusione con Wind, ed ecco che l’antitrust europeo si è affidato alla convocazione di Free in Italia per mantenere la fiaccola della concorrenza accesa sul mercato. Ma i francesi fanno i loro interessi e ci vanno cauti, e comunque le operazioni di sbarco saranno lente e graduali. Intanto ben venga qualche intervento-calmiere: fatturazione mensile compresa.