La colossale bufala del Russiagate è entrata nel vivo della sua farsesca realtà: di colpo, dopo mesi di audizioni inutili, scoop basati sul nulla e accuse la cui credibilità è durata il tempo del battito d’ali di un colibrì, la Commissione d’inchiesta guidata dall’ex capo dell’Fbi, Robert Mueller, si trasforma in Diogene e con il suo lanternino scova tre pezzi da novanta dell’entourage elettorale di Trump da inchiodare al muro delle presunte attività di destabilizzazione russe nel voto presidenziale Usa del 2016. Due sarebbero indagati per una dozzina di capi d’accusa, tra cui frode fiscale e riciclaggio di denaro per strani rapporti con l’ex premier ucraino filo-russo, Yanukovich: roba freschissima, risale nientemeno che al 2006-2007. Quindi, nulla a che fare con il voto di due anni fa: ma si sa, quando occorre uno scandalo pilotato, tutto fa brodo. Il terzo uomo, come nei film gialli che si rispettino, è un ex volontario della campagna elettorale di Trump, il quale di colpo ha sentito l’urgenza di liberarsi la coscienza: casualmente, in contemporanea con la decisione del capo della propaganda di Trump e di un ricco uomo d’affari amico del tycoon di consegnarsi all’Fbi, i sopracitati pezzi da novanta.
E quale sarebbe il mistero gaudioso che il nostro terzo uomo rivelerebbe al mondo? Avrebbe mentito agli agenti federali che lo hanno interrogato nell’ambito del Russiagate, di fatto aprendo il vaso di Pandora dei rapporti diretti fra il Cremlino e l’entourage di Donald Trump: in una mail, si parlerebbe addirittura di un incontro a cui avrebbe dovuto partecipare Putin in persona. Ovviamente sono idiozie prezzolate, ma l’importante è che i servitori dell’Impero in servizio permanente ed effettivo, dai Mentana ai Minum ai Maurizio Molinari, accreditino queste panzane come verità. La grande campagna maccartista 2.0 è iniziata. E casualmente, si muovono i calibri che contano. Ovvero, le macchine della propaganda.
Se infatti il legale rappresentante di Facebook ha dichiarato che la Russia ha raggiunto con i suoi messaggi aggressivi di propaganda 126 milioni di americani – metà del corpo elettorale – durante la campagna per le presidenziali, ecco che anche Google spara la sua: «Abbiamo scoperto alcune prove di tentativi di abuso delle nostre piattaforme durante le elezioni Usa del 2016, collegati alla Internet Research Agency in Russia», ha reso noto il motore di ricerca, che fra ieri e oggi è stato protagonista, insieme a Facebook e a Twitter, delle audizione delle Commissioni del Congresso statunitense che indagano sul Russiagate. L’agenzia citata da Google, nata a San Pietroburgo tre anni fa, sarebbe una “fabbrica di troll” volta a diffondere fake news, e stando agli investigatori americani che lavorano sul Russiagate, sarebbe stata finanziata dall’oligarca Ievgheni Prigozhin, noto con il soprannome di “chef di Putin”. Una volta c’era la “cuoca di Lenin”, hanno anche poca fantasia a inventarsi le balle.
Due account relativi al gruppo legato al Cremlino risultano aver speso 4.700 dollari in inserzioni sulle piattaforme di Google durante il periodo della campagna per le elezioni presidenziali statunitensi. Tra le piattaforme usate c’e’ YouTube, dove Google ha spiegato di aver scoperto 18 canali che nel periodo delle presidenziali hanno veicolato 1.108 video, per un totale di 43 ore di contenuti. Le visualizzazioni complessive sono state 309mila: solo il 3% dei filmati ha ottenuto più di 5mila visualizzazioni. Ora, vi pare che questi numeri possano deviare il corso di un’elezione presidenziale negli Usa? Cioè, la prima potenza mondiale si fa imporre il presidente tramite operazioni destabilizzatrici da 4.700 dollari? E, se davvero il Cremlino avesse posto in essere un’operazione di intelligence simile, avrebbe usato social network tracciabili e hackerabili dal primo nerd che esce da un liceo? Ma per favore, non facciamoci prendere in giro almeno noi. Anche perché qui siamo in mano a un insieme di dilettanti allo sbaraglio e dottor Stranamore 2.0, la più pericolosa delle miscele possibili: il Deep State deve fare qualcosa, deve smuovere l’equilibrio internazionale. E ora che la questione nucleare nordcoreana sembra risolta grazie al Vaticano – tu guarda, sembrava la Terza guerra mondiale e invece finirà nella Giornata della Gioventù -, la Russia torna a essere il bersaglio numero uno: negli Usa come in Siria come in Europa. Ma Mosca, non essendo stupida, manda segnali. A chi vuole capirli. Segnali che il limite sta per essere oltrepassato e che occorre prendere una posizione.
Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha infatti usato l’ironia per respingere le accuse, definendo le denunce di intrusioni russe nelle elezioni negli Stati Uniti e in Europa sole delle “fantasie”: «Senza alcuna prova, siamo accusati di aver interferito non solo nelle elezioni statunitensi, ma anche in quelle dell’Europa. Recentemente Mosca è stata accusata di aver interferito sulla nomina di un ministro in Sudafrica. Non c’è limite alla fantasia». Altrove, però, le sue parole sono state più taglienti. E minacciose, seppur dal tono moderato. Eccole: «Le sanzioni di Washington hanno lo scopo di escludere Mosca dal mercato delle armi e dell’energia». Così Lavrov ha attaccato gli Usa in un incontro con i membri dell’Associazione delle imprese europee, platea molto interessata: «Con il pretesto di combattere contro la minaccia russa, Washington non solo cerca di rammendare la cosiddetta solidarietà atlantica, non solo far crescere la spesa per la difesa degli europei, ma anche ottenere un punto di maggiore vantaggio nell’economia europea e nell’industria energetica, ostacolando i nostri progetti nell’energia e spingere la Russia fuori dai mercati dell’energia: proprio questo è l’obiettivo della più recente tornata di sanzioni», ha aggiunto.
Ma non basta. Sempre rivolto alla platea della European Business Association, Lavrov ieri ha dichiarato quanto segue: «Mosca non chiederà all’Occidente di abolire le sanzioni imposte alla Russia. Non possiamo e non chiederemo che le sanzioni siano rimosse, soprattutto perché ci è stato detto che dobbiamo fare qualcosa di buono dal punto di vista dell’Occidente e solo dopo ci sarà spazio per rimuovere le sanzioni. Questo suggerimento contiene la nozione che le sanzioni sono inutili: è una posizione assolutamente politicizzata di coloro che vogliono punire la Russia e ottenere vantaggi concorrenziali». Pensate che sia un caso un innalzamento del tono simile da parte di Mosca verso l’Ue, proprio nelle ore della massima bufera legata al nuovo polverone alzato sul Russiagate?
Il messaggio lanciato ieri da Serghei Lavrov è uno dei più diretti ed espliciti di sempre verso gli europei, il tutto in un quadro di contrapposizione bipolare sempre più netto: decidete da quale parte stare, perché la miccia del conflitto – per ora diplomatico – si fa sempre più corta. E qualcuno, più lungimirante di altri, lo ha capito. «Mosca e Berlino devono contrastare il reciproco allontanamento che si sta verificando negli ultimi anni», ha dichiarato l’altro giorno – forse fiutando l’aria come un lupo – il presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier. E ancora: «Penso che dobbiamo sfruttare le opportunità, in qualità di presidenti, per portare avanti il dialogo e capire come possiamo migliorare le nostre relazioni, delle quali oggi non possiamo dirci soddisfatti», ha detto Steinmeier durante l’incontro con il presidente russo, Vladimir Putin. «In ogni caso, sono convinto che dobbiamo affrontare l’alienazione che affligge i due Paesi negli ultimi anni, è necessario continuare il dialogo, servono sforzi a lungo termine da entrambe le parti», ha concluso.
E l’Italia? È così geniale nella sua gestione della politica estera e di Difesa, avendo due assoluti geni a capo dei relativi dicasteri, da ritrovarsi l’anno prossimo a capo di una task-force Nato di intervento rapido nel Baltico, di fatto un’operazione militare dichiaratamente ostile a Mosca. E chi ha preso la decisione? Unilateralmente la Nato, di fatto, al vertice di Varsavia del luglio 2016: si tratta di 140 soldati dispiegati in Lettonia, i quali finiranno in prima linea proprio nel momento in cui – potenzialmente – i rapporti fra Mosca e l’Occidente saranno al massimo della tensione. Il Parlamento ha nulla da dire al riguardo?
Non pensate al Russiagate come a qualcosa di serio, è soltanto la pantomima mediatica del Pentagono e del Deep State per vendere all’opinione pubblica il nuovo maccartismo geopolitico. Il problema è che quella sciarada sottende uno scontro reale e sempre più prossimo, anche e soprattutto commerciale ed energetico. Dentro al quale rischiamo di rimanere schiacciati come Paese, se qualcuno non decide di alzare la testa. E guardare alla luna, non al dito Usa che la indica.