C’era una volta la super-authority finanziaria italiana. In quel rovente finale di 2005 cronache parlamentari, giudiziarie e finanziarie sulle Opa bancarie raramente mancavano di un appello a concentrare le funzioni di vigilanza su risparmio e mercati. Ma la legge 262 — preparata e varata con il fine contingente di favorire la cacciata di Antonio Fazio dalla Banca d’Italia e la chiamata di Mario Draghi — alla fine partorì molti topolini. Ottenuto il risultato voluto, quasi tutti i pasdaran dell’Autorità Unica dimenticarono o addirittura rinnegarono la loro campagna: con Draghi issato in Via Nazionale non era anzi il caso di rischiare contaminazioni con Consob e neppure la pubblicizzazione di Bankitalia, che restò controllata delle sue banche vigilate.
L’unica autorità finanziaria che sparì dalla formazione fu quella assicurativa: l’Isvap venne assorbita dalla Banca d’Italia e intestata come Ivass al suo direttore generale. Ma tutto il resto — a cominciare dal dualismo fra Bankitalia e Consob — rimase intatto. Così dodici anni dopo — dopo dissesti bancari molto più seri delle battaglie su AntonVeneta e Bnl — davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta è andato in scena un teatrino non molto edificante: con un non-faccia-a-faccia fra il capo della vigilanza di Palazzo Koch, Carmelo Barbagallo, e il direttore generale della Consob, Angelo Apponi. Plasticamente un confronto che doveva essere “all’americana” si è tenuto invece in sessioni separate: nelle quali Apponi, principalmente, ha denunciato la pressoché totale incomunicabilità fra le due authority a proposito del crack Veneto Banca e dei casi simili.
L’intrico delle autorità finanziarie che si rivela impotente nel controllare gli animal spirits dei mercati finanziari non è tuttavia un’anomalia italiana. La commissione Volcker che cercò di far luce del collasso del 2008 a Wall Street elencò 103 soggetti attivi nella supervisione sui mercati. Sull’altro lato dell’Atlantico, la Gran Bretagna pose la City di Londra sotto la vigilanza di un’autorità finanziaria unica (la Fsa) dopo i fallimenti di Bcci e Barings, ancora alla fine nel secolo scorso: non è servita ad evitare il dissesto di Northern Rock e poi la nazionalizzazione di Royal Bank of Scotland e Barclays. La Ue ha inizialmente riproposto l’articolazione per settori dell’industria finanziaria, caratteristica dei principali paesi-membri: l’Eba per le banche, l’Esma per i mercati, l’Eiopa per le assicurazioni e i fondi pensione (e a questo si affianca l’Antitrust). Ma già le funzioni dell’Eba sono state inglobate nella Bce, creando una nuova dicotomia nella vigilanza creditizia (fra paesi della Ue e dell’Eurozona). E che dire della rumorosa entrata in scena dell’europarlamento che — per voce del presidente italiano Antonio Tajani — sta mettendo sotto pressione la vigilanza Bce sulla gestione delle sofferenze bancarie in Europa?
In Europa come in Italia, nel risiko dei regulator finanziari non manca mai un convitato di pietra: la magistratura. Così come la Corte costituzionale tedesca è emersa come giudice ultimo sulla politica monetaria della Bce, a Montecitorio i veri protagonisti della commissione Casini sono i procuratori. Archiviata una prima parentesi sulle Popolari venete, la settimana prossima i commissari vogliono una sessione d’assaggio su Mps: prima e prevedibilmente ultima parola ai magistrati.