Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in Palombella rossa. E anche iconiche. Nonché, in tempi di dittatura dei social network, anche virali. Ricordate il 2011? La parola spread divenne una sorta di totem, tutti la utilizzavano, tutti ne abusavano: in Parlamento come al bar, al supermercato come in metropolitana. Bene, a breve un nuovo vocabolo di culto potrebbe entrare a far parte della nostra vita: addendum. Cosa sia è presto detto: si tratta della normativa Bce per le coperture dei non-performing loans, le sofferenze, a bilancio delle banche europee, regolamentazione di cui vi ho già diffusamente parlato e che dovrebbe entrare in vigore dal 2018. Vi ho detto in tempi non sospetti che questa sarebbe stata la grande battaglia,il Rubicone per la tenuta del nostro sistema all’interno dell’eurozona e così è stato. Però, il tipo di conflitto innescatosi negli ultimi giorni sull’argomento è davvero senza precedenti.
Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento e Pier Carlo Padoan, ministro delle Finanze, hanno fatto fronte comune contro l’Eurotower, mobilitando il Parlamento Ue e portandolo a una risoluzione dichiaratamente ostile alla Bce. A mio avviso, un qualcosa che avrebbe meritato l’apertura di giornali e tg, ma, si sa, la pantomima nordcoreana di Trump e le elezioni siciliane paiono argomenti più importanti. E a cos’ha portato l’irrituale discesa in campo di Tajani? A una risoluzione di netta contrapposizione fra istituzioni europee: per l’Europarlamento, infatti, non spetta alla Bce adottare l’addendum sui crediti deteriorati, poiché i suoi contenuti hanno valore normativo. Così il servizio giuridico del Parlamento europeo ha bocciato le nuove linee guida sugli Npl indicate dalla Vigilanza guidata da Danièle Nouy. Nel documento, inoltre, si precisa che l’addendum fissa regole generali legalmente vincolanti applicabili a tutte le banche e quindi «la Bce non ha la competenza per adottarlo».
Nelle 13 pagine del documento inviato ieri a Tajani e girato poi al presidente della Commissione Affari economici del Pe, Roberto Gualtieri, si analizzano in dettaglio tutti gli aspetti della vicenda e si conclude che la Bce corre il rischio di agire al di là del suo mandato invadendo il campo de legislatore. Gli esperti osservano tra l’altro che la formulazione delle disposizioni contenute nell’addendum fa sì che esse siano destinate a essere percepite dalle banche come «obbligatorie», mentre la Bce le aveva giudicate non vincolanti. Si tratta – di fatto – di una vittoria di Tajani e delle banche italiane, stando alle quali una nuova stretta sul credito determinerebbe conseguenze negative sui finanziamenti alla clientela e quindi anche sullo sviluppo economico del Paese.
E come ha reagito la Bce? Dopo la pioggia di critiche, la presidente della supervisione bancaria della Banca centrale europea, Danièle Nouy, ha preso tempo sull’addendum, dando vita a un gioco di sponda e aperture. Pericolosissimo. E non solo perché parliamo di una materia delicatissima come i crediti deteriorati in pancia alle banche, i quali dovranno essere interamente coperti entro due anni dalla loro classificazione come crediti deteriorati, intervallo che sale a sette anni per i fidi con copertura assicurativa. Ma anche per il loro volume: il totale di titoli di credito deteriorati posseduti dalle banche europee è diminuito di 142 miliardi di euro fino a 795 miliardi nel secondo trimestre di quest’anno, ma la cifra resta enorme. Soprattutto per Italia e Spagna. Il membro della Bce ha osservato che «in molti casi sono necessarie ulteriori azioni», sottolineando che «questo è il momento giusto per questo passo supplementare, dato che attualmente abbiamo condizioni economiche estremamente favorevoli in Europa. Dobbiamo sfruttare questo momento». Ma proprio in relazione al parere negativo giunto dal Parlamento Ue, la Nouy ha ribadito quanto segue: «Lasciatemi sottolineare che questo addendum, una volta adottato, ricade nel mandato e nei poteri della Bce».
Scontro totale, apparentemente, tutto basato sul discrimine legato – stando al parere della Banca centrale – dell’assenza di automatismo sulle regole indicate e, in ogni caso, sul fatto che «non sono state prese finora altre decisioni se non quella di avviare una consultazione pubblica i sui risultati verranno tutti attentamente valutati». Poi,l’apertura, prendendo atto delle diverse realtà presenti al riguardo tra i membri Ue: «Per questo bisogna fare raffronti, per vedere cosa funziona bene e cosa va cambiato. Questo però sta già avvenendo… Si parla dei flussi di nuovi Npl, non degli stock, forse nell’addendum non siamo stati abbastanza chiari e allora lo ribadiamo. Quindi, se tra la fine della consultazione l’8 dicembre e l’inizio dell’anno avremo difficoltà a utilizzare pienamente quello che ci viene consegnato, questo potrebbe significare che l’1 gennaio 2018 non è la data migliore per iniziare», ha aggiunto Nouy. Da qui, la proposta di «darci un po’ più di tempo» e l’ulteriore apertura finale: «Tutto si può cambiare, se fossimo convinti di aver fatto qualcosa di non adeguato. Il drafting può essere migliorato».
Battaglia vinta? Sì. Ma non la guerra, attenzione. Perché un’apertura resta tale finché sul tavolo non arrivano dei fatti. E delle scadenze. Ma, soprattutto, un’apertura presuppone un confronto: quindi, un do ut des. L’irrituale tackle scivolato con cui Tajani è entrato nella vicenda dall’alto del suo ruolo istituzionale per dare man forte a Pier Carlo Padoan ci fa capire quanto quel nodo sia vitale per il sistema bancario italiano, quello che per gli ultimi tre governi in carica era sanissimo e, soprattutto, solvibile. Quindi, è chiaro che la Bce scenderà a patti, ma conoscendo perfettamente il nostro tallone d’Achille: un bel vantaggio. Inoltre, non scordiamo che all’interno del board dell’Eurotower non mancano i nemici del’Italia e che da qui a quando si dovrà trattare realmente, con ogni probabilità in Germania sarà nato il nuovo governo, con il forte rischio di un falco liberale alle Finanze al posto del buon brontolone Schaeuble.
Insomma, siamo in ostaggio. E per un’unica ragione: il voto in primavera, talmente importante che Bruxelles e Francoforte non intendono regalare consensi al fronte euroscettico di M5S, Lega e Fratelli d’Italia. Dopo, però, quale conto dovremo pagare? Un anticipazione è arrivata proprio ieri, visto che sul calo del nostro deficit strutturale si è palesato un chiaro – ancorché, per ora, incruento – scontro fra Roma e Bruxelles, con la Commissione Ue che ne prevede un peggioramento già quest’anno al 2,1%, mentre le cifre inserite nel Def parlano una lingua decisamente differente. Scaramucce, per adesso. Ma simboliche e preoccupanti. Soprattutto, a mio parere, alla luce di un drammatico errore che proprio il clima da campagna elettorale sta inducendoci a compiere: far volare gli stracci in pubblico rispetto alla credibilità degli enti di vigilanza di settore bancario e mercati del nostro Paese.
Ieri, infatti, in Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, Consob ha palesemente attaccato Bankitalia sul caso di Veneto Banca, dicendo che nel 2013 non indicò i problemi già presenti. Vero? Falso? Arrivo a dire, non importa. Non adesso, almeno. Perché mostrarsi istituzionalmente deboli, soprattutto in tema di banche, potrebbe esserci fatale: in Germania non attendono altro. Rischiamo di buttare alle ortiche il risultato ottenuto dallo strappo di Tajani, il quale sa che dovrà pagare un prezzo politico per la sua scelta. Evitiamolo, per favore. Perché su questo tema, ancorché nascosto dai media, l’Italia rischia non solo la sua (residua) credibilità istituzionale e politica, ma le stesse sostenibilità dei conti e solvibilità del sistema. E la speculazione internazionale non sta aspettando altro. Mai sanguinare davanti agli squali.