Le ultime dichiarazioni dell’amministratore delegato di Telecom Italia, Amos Genish, hanno toccato alcuni dei punti più sensibili emersi nelle ipotesi delle ultime settimane. Il manager arrivato in sostituzione di Cattaneo ha escluso la possibilità di una fusione con Open Fiber, la società partecipata da Enel e Cassa depositi e prestiti, ipotizzando solo una “collaborazione commerciale”. L’ad si è detto disponibile ad affinare il livello di separazione “fino a quando il Governo sarà soddisfatto della neutralità della rete”. A fare da premessa le dichiarazioni contro la finanza sulla rete telecom.



Il nodo della vicenda è quello degli assetti proprietari della rete di Telecom Italia. Lo Stato italiano si è trovato come proprietario della rete italiana una società francese il cui rapporto con il mercato viene criticato aspramente sui principali organi di stampa finanziari europei e che si è resa protagonista di una vicenda molto spiacevole nel primo operatore televisivo privato italiano. Per recuperare potere sostanziale lo Stato italiano ha come unica opzione l’ingresso nell’azionariato della rete; è lo stesso metodo che ha usato la Francia con la vicenda Fincantier-Stx. Le rassicurazioni sulla “governance” e sul rispetto degli obiettivi nazionali, in quel caso francesi, non sono stati ritenuti necessari. Alla fine il governo francese ha deciso che l’unica tutela che garantiva veramente era una partecipazione finanziaria. Anche lo Stato italiano ragiona in questo modo quando si tratta di partecipazione strategiche; i diritti “patrimoniali” sono sostanzialmente incontestabili, mentre quelli derivanti esclusivamente dal “golden power” sono un po’ più liquidi. Più la partecipazione è strategica più il presidio deve essere sostanziale.



Escludendo una fusione con Open Fiber, l’ad di Telecom Italia esclude la possibilità che sulla rete il governo italiano torni ad avere un controllo sostanziale. La disponibilità a lavorare sulla “separazione” fino al soddisfacimento del governo italiano dal punto di vista dell’esecutivo ha un valore minimo. Allo stesso modo dal punto di vista di Telecom Italia si può lavorare sulla separazione, ma senza portarsi in casa il governo italiano o una delle sue espressioni. Anzi, si associano certe ipotesi alla “finanza” quando invece sono tutto l’opposto. Se fosse solo questione finanziaria un investitore di mercato, come appunto sarebbe Vivendi, si siederebbe sicuramente al tavolo e ascolterebbe volentieri ipotesi.



L’approccio attuale di Telecom più di tanti rumour dimostra quanto la rete sia strategica e l’asset più prezioso di Telecom Italia e che la questione trascende gli aspetti finanziari. Il governo italiano per forzare questo stato di fatto, rompere l’equilibrio e riaprire la partita degli assetti proprietari dovrebbe essere molto convinto e abbastanza forte da sfidare il sistema Paese a cui appartiene Vivendi più che il mercato che non ha avuto molto da dire sul passaggio di controllo. Sembra davvero improbabile.