Carige e Creval sono due crisi diverse: basti pensare che l’ex presidente dominus della banca genovese Giorgio Berneschi, ha già subito lo scorso febbraio una dura condanna per gravi reati finanziari. Tuttavia i due dissesti giungono al capolinea negli stessi giorni del novembre 2017. Ieri i due titoli hanno zavorrato l’intero listino di Milano, mentre i media rilanciavano notizie e preoccupazioni si piani di ricapitalizzazione lanciati a Genova e Sondrio. E non senza che le vicende avessero eco nelle aule parlamentari, dov’è riunita la commissione d’inchiesta sulla crisi bancaria italiana di cui Carige e Creval sono momenti ulteriori.



Il ruolo della Banca d’Italia risalta in effetti ancora una volta in termini ancora problematici, all’indomani della contrastata conferma del governatore Ignazio Visco. L’accusa di non aver vigilato a dovere può sembrare trita e per certi versi superata: soprattutto per il Creval – ma nondimeno per Carige – alla base delle difficoltà c’è l’accumulo di sofferenze creditizie (Npl) il cui smaltimento è di nuovo oggetto, proprio in questi giorni, di uno scontro politico fra Paesi e authority della Ue. Diverso è invece ragionare su come Via Nazionale sta operando in queste ore per trainare in porti sicuri due navi semiaffondate. Forse fra qualche ora o qualche giorno apprenderemo che ha negoziato febbrilmente con la Bce tempi e piani dei salvataggi finali ed è attivamente intervenuta nella ricerca dei nuovi capitali e quindi di nuovi partner. Per ora l’impressione resta di una Bankitalia ancora al traino degli avvenimenti: certamente scollegata con il governo e subalterna alla vigilanza di Francoforte, in un momento di tensioni che non risparmiano neppure il presidente Mario Draghi.



Nel merito a Sondrio la situazione appare non più tranquilla, ma più delineata. L’aumento di capitale da 700 milioni lanciato dal cda non sembra facilmente praticabile per una banca che in Borsa ne capitalizza ormai meno di 200. Tuttavia il mandato affidato a Mediobanca è di fatto esteso anche alla ricerca di un partner: un acquirente estero (come si è sentito ipotizzare con più forza ieri) oppure un gruppo italiano (forse una Popolare come lo stesso Creval) disposto a integrare una rete bancaria concentrata in mercati importanti del centronord. In questo secondo caso, tuttavia, il pensiero corre al salvataggio estivo delle due Popolari venete da parte di Intesa Sanpaolo: attraverso una procedura che ha dribblato i paletti del bail-in Ue ed è comunque gravata sulle finanze pubbliche.



Lo stesso canovaccio potrebbe essere seguito per Carige: dove – questa volta – potrebbe essere chiamato UniCredit ad accollarsi la crisi di una banca regionale. A Genova la situazione è tuttavia più complessa: i soci privati (anzitutto il gruppo Malacalza) lottano ancora per mantenere la banca sotto il loro controllo. Sono disposti a sottoscrivere una parte non piccola dell’aumento di capitale da 560 milioni individuato come necessario dalla Bce. Ma il mercato rimane scettico nel fare la sua parte: proprio ieri Credit Suisse, Deutsche Bank e Barclays hanno ritirato la loro garanzia dal consorzio di collocamento dell’aumento.

Forse non è una coincidenza che proprio a Genova, ormai quasi due anni fa, sia andato in scena il primo tentativo di riassetto di una banca italiana da parte di un grande fondo internazionale (nel caso specifico si trattava di Apollo). Lo schema è noto: Apollo era interessato ad acquisire tutte gli Npl di Carige ricoprendo poi tutte le perdite patrimoniali prodotte dalla “pulizia”. In questo caso il fondo sarebbe divenuto anche proprietario di Carige, prevedibilmente per ristrutturarla e/o rivenderla. A Genova – come a Vicenza – i grandi fondi furono stoppati: principalmente dal governo che temeva “barbari-avvoltoi” in gangli bancari di zone importanti del Paese. Allora la Banca d’Italia fu silente. Vediamo se diciotto mesi dopo batterà qualche colpo.