Ieri all’ora di pranzo Banca Carige perdeva il 10,58% teorico: in base a questo risultato, lo storico istituto genovese valeva in Borsa poco meno di 120 milioni. Di per sé, un disastro. Peccato che ci sia di peggio. È saltata infatti la costituzione del Consorzio di garanzia che avrebbe dovuto sostenere l’aumento di capitale da 560 milioni della banca guidata dall’ad Paolo Fiorentino, il terzo dopo quelli rispettivamente da 800 e 850 milioni degli anni scorsi. Aumento talmente urgente che avrebbe dovuto scattare la prossima settimana e per un ammontare di quasi di 5 volte il valore borsistico dell’istituto. La notizia è stata comunicata ai mercati dal gruppo, il quale ha immediatamente convocato un consiglio di amministrazione straordinario per informare consiglieri e sindaci della situazione e valutare i prossimi passi. 



Ovvia, la reazione di Borsa: dopo i minimi storici a 14 centesimi di mercoledì (per una capitalizzazione di mercato di 124 milioni, la metà di quanto versato soltanto due anni fa dalla famiglia Malacalza per diventare prima azionista della banca al 17,6%), ieri il titolo è stato sospeso in attesa di avere informazioni più dettagliate di quel che accadrà sotto la Lanterna. E per farvi capire quale sia la situazione, basti dire che dopo 48 ore di cda (formalmente ancora aperto), ancora non era arrivato il prezzo dell’aumento di capitale. Normale, quindi, che dal Consorzio di garanzia non arrivasse con il via libera: e non si tratta di un consorzio da poco, visto che è composto da Deutsche Bank, Credit Suisse e Barclays. Stando a quanto emerso, le banche avrebbero posto come condizione per impegnarsi a sottoscrivere l’eventuale inoptato dell’operazione l’ingresso massiccio di Unipol nella partita. Il gruppo assicurativo e bancario aveva infatti convertito bond subordinati in suo possesso in bond sernior, garantendosi così la possibilità di entrare nella compagine azionaria, aderendo all’aumento. Sapete quanto controvalore di capitale ha bruciato Carige in 5 anni? Qualcosa come 4 miliardi di euro. 



Vogliamo parlare di Mps? Dal rientro in contrattazione, il 25 ottobre scorso, un bel -14%, mentre solo lunedì il titolo è stato sospeso per eccesso di ribasso, un bel -5% teorico. E che dire di Credito Valtellinese, anch’esso sospeso ieri con un -14% teorico e anch’esso alle prese con un oneroso aumento di capitale, circa 700 milioni di euro. Ma non era un sistema bancario sanissimo, solido e solvibile, il nostro? E io non ero il gufo che vedeva sempre tutto nero? Il problema è che adesso se ne accorgono tutti, quando i buoi sono ormai proverbialmente scappati. Anche qualcuno che, se avesse fatto il ministro delle Finanze, invece di perdere il suo tempo a creare i presupposti per un Nobel che non otterrà mai, forse avrebbe evitato l’epilogo del 2011 e avrebbe posto qualche interrogativo in più a tempo debito, invece di occuparsi solamente di Fondazioni, in ossequio al patto d’acciaio con Umberto Bossi. 



Già, proprio Giulio Tremonti. E cosa ha raccontato lo Stiglitz di Sondrio al Sole24Ore? «Il rischio molto serio per l’Italia sul fronte bancario arriva dal lato dell’Europa». Ovvero, l’addendum della Bce sugli accantonamenti per le sofferenze bancarie: «La Bce sta concentrando la sua attenzione sugli Npl, questa la criticità di cui soffrono principalmente le banche italiane. Ne soffrono per una ragione molto semplice: che, pur a valle di tanti oggettivi errori, hanno comunque fatto le banche e non le bische… Come mai la Bce insiste sugli Npl. ma ignora i derivati su cui si basano tante banche europee? Pare che rispondano che hanno i modelli matematici per gli Npl ma non per quelli per i derivati! Perché non si occupano delle criticità immobiliari che affettano le banche spagnole? Perché c’è questa selettiva concentrazione sull’Italia a fronte di una selettiva disattenzione per casi diversi ma ancora più gravi pur in essere nell’area dell’euro?». 

Ora, al netto che fare le bische è grave ma anche proporsi come bancomat dei soliti nobilati locali non mi pare esattamente rispondere al mandato statutario di un istituto bancario, le domande di Tremonti sono tanto retoriche quanto giuste. Soprattutto una, reiterata: perché? Lui dovrebbe saperlo bene, il perché. Lui certe logiche le conosce, è dal 2011 che sa cosa sia realmente successo attorno alla famosa lettera della Bce firmata Draghi e Trichet ma non si degna di raccontare: forse ha venduto i diritti per un libro di memorie? Forse soffre di vuoti di memoria a targhe alterne? O, forse, torna a parlare solo quando ha un volume da promuovere in libreria? Non vi pare straordinario che, di colpo, tutti sapessero da tempo che le cose stessero prendendo una piega suicida: come mai non hanno detto nulla a tempo debito? E non parlo di derivati, perché riguardo a quello Tremonti è stato realmente un grande precursore di messa in guardia, ma di banche, puri e semplici istituti che dovrebbero gestire risparmio ed erogare credito, come gli attivi dovrebbero dimostrare. 

Se tutti sapevano che si garantiva denaro solo ad amici e persone di un certo circolo, perché non si è convocata una bella conferenza stampa subito dopo che la crisi Lehman aveva fatto saltare il tappo a livello globale? Perché per tutti il sistema era sano e solvibile e non si è optato per un doloroso ma risolutorio reset? Perché i guai erano sempre altrove e mai a casa nostra? Quali interessi e segreti andavano preservati, sulla pelle di investitori e correntisti? Ma, soprattutto, perché non si è seguita la via della Spagna, chiedendo all’Europa di intervenire quando ancora si poteva, tamponando almeno le criticità maggiori, vedi Npl già a livello di allarme rosso all’epoca della crisi dello spread? Timore del conseguente arrivo della Troika? E il governo Monti, alla fine, in cosa si è sostanziato? Perché è facile farsi domande retoriche – fino all’altro giorno erano ritenute complottiste, se le ponevo io – sul perché la Bce agisca in questo modo e quale sia il fine nascosto, quando si poteva evitare di perdere tempo: le denunce sui “prestiti baciati” delle banche venete credete siano nate solo lo scorso anno? 

Non capiamo che siamo in prima linea di un nuovo shock che sarà globale e di dimensioni enormi: ieri la Banca centrale cinese ha iniettato 47 miliardi di dollari di liquidità nel sistema finanziario, la maggiore manovra per importanza dal 18 gennaio scorso. L’operazione è arrivata dopo che il benchmark sui rendimenti a 10 anni delle obbligazioni è balzato martedì del 4% per la prima volta negli ultimi tre anni: se trema finanziariamente la Cina – e trema – cosa credete che accadrà alla pulce Italia? Quanto credete che reggeranno le misure emergenziali, visto che ormai appare chiaro anche alla Bundesbank che toccherà lasciare mano libera ancora per un po’ alla Bce, salvo subire conseguenze ben più nefaste e generali del calo di profittabilità da tassi negativi per le Landesbanken? E cosa fa l’Italia in questo contesto? Scherza col fuoco, agitando lo spauracchio di un Mario Draghi alla sbarra della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario. Siamo alla follia totale e assoluta. 

Abbiamo almeno tre banche che stanno lottando per sopravvivere e un Parlamento che parla e discute di ciò che è stato: siamo ormai assuefatti allo scudo di Draghi che ha narcotizzato il più grande (e falso) dei timori, quello dello spread. Ma tutt’intorno, i pezzi d’intonaco del sistema cominciano a cascare. Ogni giorno più grandi, ogni giorno più vicini alle mura portanti. E le crisi creditizie non sono come quelle politiche, non esiste un Fassino delle banche che va a pietire appoggio con il cappello in mano, in un’interminabile pantomima: le crisi di quel genere, soprattutto bancarie, sono palle di neve che diventano slavine in una settimana e valanghe in un giorno. Credete che l’Ue non sappia cosa sta accadendo? Che la “sparata” di Katainen dell’altro giorno sia arrivata a caso? 

Qui l’unica guerra temporale è quella fra noi e la nostra necessità di chiedere aiuto, perché se si pensa di dar vita a un Fondo Atlante 3 in campagna elettorale e con Bce e Commissione Ue già sul piede di guerra, siamo completamente pazzi. Voi non ve ne accorgete, ma stanno crescendo le condizioni per una crisi di sistema, c’è solo da sperare che la minaccia dell’addendum della Bce resti tali e si sveli unicamente come minaccia per farci prendere un po’ di strizza e, finalmente, agire. Altrimenti saranno tempi cupi, tempi da prelievi notturni nei conti correnti per finanziare manovre emergenziali, tipo ingresso nell’euro, per tamponare il crac creditizio. 

E il fatto che la stessa Ue non escluda affatto una mossa simile dovrebbe farvi pensare. Magari Tremonti avrà qualche brillante suggerimento da darci al riguardo, corredato da illuminati intuizioni. Fra una decina d’anni. A cose fatte.