Non è finita. Molte tessere sono già cadute, ma l’effetto domino deve ancora dispiegarsi pienamente. Lo dimostra quel che sta accadendo alla Cassa di risparmio di Genova ripresa (si spera) per i capelli e al Credito Valtellinese, due banche alla disperata ricerca di capitali, impiombate dai crediti deteriorati. E proprio questa è la radice della crisi bancaria italiana che non riesce a essere estirpata. I non performing loans sono la nostra variante dei mutui subprime, entrambi rispondono alla stessa logica: prestare alla leggera, per guadagnare sui tassi d’interesse, generando l’illusione che il debito non verrà mai estinto.
Di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie, i sostituti procuratori di Milano Giordano Baggio e Stefano Civardi hanno analizzato in che modo il Monte dei Paschi di Siena ha nascosto la carenza di capitale necessario ad acquisire l’Antonveneta attraverso operazioni finanziarie che di per sé non sono truffaldine, ma lo diventano quando servono a nascondere le perdite falsificando così i bilanci. Gira e rigira tra Alexandria e Santorini, tra Deutsche Bank e Nomura, sono stati occultati 150 milioni pari ai costi delle commissioni: “Se vogliamo è proprio questo il prezzo del reato”, hanno detto i magistrati. Tuttavia, hanno sottolineato, quel che impiomba il Montepaschi è il peso dei crediti deteriorati, pari a circa 40 miliardi di euro lordi. E non è affatto certo che il Tesoro riuscirà a venirne a capo. Anche per questo la borsa sta picchiando duro sul titolo della banca senese.
La questione si è fatta ancor più esplosiva nel momento in cui l’Unione europea e la Bce hanno chiesto alle banche di rientrare liquidando entro due anni i prestiti coperti da garanzie ed entro sette anni quelli non garantiti. Il governo italiano ha protestato, l’Assobancaria ha strepitato; si è fatto paladino della rivolta il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani costringendo Danièle Nouy che guida la vigilanza della Bce ad accettare uno slittamento delle nuove regole e un approccio più flessibile. Un successo tattico, ma la questione resta, nessuno può farsi illusioni. Si può discutere su tempi e modi, non sulla sostanza.
Due anni probabilmente sono troppo pochi e occorre adottare un approccio flessibile. Ma se non viene indicata una scadenza chiara, succede quel che si è già visto nel caso del Banco di Napoli. La Sga, la bad bank che fa capo alla Banca d’Italia, ha recuperato 5,4 miliardi di euro sui 6,5 spesi per assorbire 9 miliardi di sofferenze, e ha messo in cassa riserve per 600 milioni. Sono passati esattamente vent’anni dal crac della banca napoletana e quasi la metà dei prestiti è rientrata nei primi tre. Ma oggi i tempi stringono. Il peso dei crediti deteriorati è pari ancora a 200 miliardi di euro e rende fragile l’intero sistema bancario italiano. I debiti dei privati affossano le banche così come il debito pubblico schiaccia l’intera economia, se i primi non verranno assorbiti in qualche misura, finiranno per gonfiare ancor di più il debito pubblico. E i contribuenti onesti pagheranno per i debitori disonesti.
Come mai siamo arrivati a questo punto? Compito della commissione parlamentare d’inchiesta è aiutare a capirlo, invece sembra che il suo vero scopo sia trovare un capro espiatorio, il cui scalpo i partiti possono presentare agli elettori (magari più scalpi a seconda dei partiti e degli elettori). Alla gogna per il momento è finita la vigilanza della Banca d’Italia, un bersaglio che può diventare ancora più grosso se viene chiamato direttamente in causa Mario Draghi che era governatore della banca centrale italiana fino al 2011, cioè quando Mps ha avuto il via libera per comprare l’Antonveneta e ha messo in moto i suoi espedienti truffaldini.
Ma se le radici della crisi sono i prestiti, allora le responsabilità vere, di fondo, debbono ricadere non solo sulla vigilanza, ma in prima istanza sui banchieri che li hanno concessi e sul sistema politico che ha usato le banche in modo clientelare. Leggendo nomi e cifre nei bilanci della Popolare di Vicenza, del Montepaschi, della Banca dell’Etruria e di tutte le altre, si ha la prova che le cose stanno proprio così. E riascoltando i proclami dei capi politici mentre il bubbone stava scoppiando, si arriva alla medesima conclusione che si tratti del Veneto a trazione leghista o della Toscana tenuta insieme dal filo rosso del Pd. Gli stessi partiti oggi militano uniti contro la Bce e l’Unione europea, facili capri espiatori esterni, o contro la Banca d’Italia per mascherare le loro colpe.
La commissione parlamentare è una creatura politica, anziché sostituirsi ai tribunali dovrebbe analizzare le radici politiche della crisi e trovare qualche rimedio. La divisione dei poteri vale sia per i magistrati che invadono il campo della politica, sia per i politici che s’improvvisano giudici.