Allora la ripresa, o quel fenomeno di rivitalizzazione dell’economia che passa sotto questo nome, c’è. L’Istat certifica che il Prodotto interno lordo aumenta nell’anno in corso dell’1,8%: il che non è ancora quello che serve per dare un vero impulso all’occupazione, ma è pur sempre il doppio di quello che ci si aspettava. Rispetto al passato la differenza principale sta nel fatto che il fenomeno è vissuto in maniera diversa da diversi attori. C’è chi coglie i benefici dell’inversione di tendenza e chi ancora non partecipa al miglioramento delle condizioni generali. Il perché è facile spiegarlo: la società va sempre più polarizzandosi tra vincitori e vinti.



I primi, sicuramente per capacità e forse anche per un pizzico di fortuna, hanno capito dove va il mondo e si sono attrezzati per tempo a incrociare il flusso della cosiddetta rivoluzione digitale. I secondi, per l’incapacità o l’impossibilità d’interpretare il cambiamento, si attardano su vecchi schemi condannandosi all’esclusione.



Papa Francesco, facendo anche il suo mestiere, insiste sulla necessità di ridurre le disuguaglianze per non lasciare nessuno così indietro da uscire dal consesso civile. È la stessa preoccupazione di molti economisti, Picketty in testa, per i quali troppa differenza impedisce si raggiunga l’obiettivo di una crescita equilibrata e sostenibile.

Dunque il problema è come far partecipare tutti, perlomeno il maggior numero possibile di persone, alle opportunità della nuova era industriale – definita con la sigla 4.0 – caratterizzata da una modifica dei comportamenti molto più che dalla mera comprensione delle caratteristiche tecnologiche che la contraddistinguono. Il salto, come si diceva una volta, è culturale. È l’approccio alla vita che deve cambiare e di conseguenza anche quello al lavoro. Qualsiasi sarà l’impegno della nostra vita dovremo affrontarlo con la convinzione di dover fare sempre e comunque del nostro meglio. Prestazioni mediocri e sganciate dalla realtà non servono più.



La distanza che è la misura di quest’epoca va allargandosi paurosamente tra il mondo dell’impresa privata, costretto a una competizione sempre più serrata, e quello della Pubblica amministrazione che pur assorbendo in Italia il 50% delle risorse è come se non fosse consapevole della sua incidenza sulle prestazioni del Paese. Vive e opera irresponsabilmente, la casta dei burocrati, mettendo nel mucchio anche certa magistratura che non si cura delle conseguenze economiche dei propri atti, soprattutto quando si lascia condizionare dalla suggestione del sospetto piuttosto che farsi guidare dalla solidità delle condanne come la nostra Costituzione vorrebbe.

Ecco, se davvero l’intendimento è allargare il campo di gioco per non lasciare nessuno fuori dal recinto e consentire a ciascuno d’interpretare un ruolo nella partita della vita, non bastano i santi e sacrosanti buoni propositi, ma occorre incidere profondamente nel meccanismo di funzionamento di questa stramba società. Proposito facile a dirsi, ma finora impossibile a inverarsi per la resistenza di chi fa del privilegio conquistato negli anni dell’abbondanza (a spesa delle generazioni future) un fortino da difendere fino allo stremo. E non fa niente se i poveri restano poveri perché, in definitiva, difenderli a parole è sempre un bell’esercizio da salotto.