Le elezioni politiche si stanno avvicinando; saranno probabilmente all’inizio di marzo sia perché si deve seriamente dubitare che il Capo dello Stato Sergio Mattarella conceda all’attuale legislatura una proroga oltre ai termini definiti dalla Costituzione, sia in quanto sembra arduo pensare che la campagna elettorale (certamente infuocata) possa coincidere con le festività pasquali.
Da quanto si intende, le due principali aree politiche (centrodestra e centrosinistra) stanno lavorando a coalizioni sulla base più di preferenze dei vari leader di ciascun gruppo, nonché dei loro elettorati di riferimento (e di programmi organici di politica economica). In particolare, il centrodestra ha organizzato a Roma a palazzo Wedekind una riunione pubblica in cui erano presenti i leader delle varie “anime” annunciata come la presentazione di un programma comune. Dal sinedrio, però, non è uscito un documento o un manifesto, ma solo la riassicurazione agli intervenuti che le differenze non erano così distanti e che si sarebbe giunti presto a una strategia e un programma comune. L’On. Renato Brunetta si è offerto di stenderne una prima bozza.
Nel centrosinistra, la situazione è ancora più complessa. Da un canto, la componente prossima al Segretario Matteo Renzi aspira ancora a un partito “acchiappatutto” con politiche essenzialmente centriste, mentre le altre componenti si avvicinano sempre più a posizioni piuttosto di sinistra che di centro-sinistra. In aggiunta, ci sono forti animosità interpersonali che sembrano acuirsi invece di sanarsi.
Nel Movimento cinque stelle ci si affida alla consultazione con gli iscritti tramite la piattaforma Rousseau. Ho avuto modo di parlarne, in un aeroporto e in attesa dei rispettivi voli, con uno dei loro maggiori esponenti: si dice fiducioso che avrà un programma dettagliato prima della fine del 2017.
In questa tornata elettorale, l’elaborazione del programma (o meglio di due distinti programmi) è essenziale più che nelle precedenti. Occorre infatti presentarsi agli elettori con due programmi distinti: uno di breve periodo di riassetto immediato della finanza pubblica e uno di legislatura di riassetto strutturale e crescita dell’economia italiana.
Negli ultimi mesi, questa testata ha più volte sottolineato che come nel 1991-92, nonostante la leggera ripresa dell’economia, siamo sull’orlo di un baratro in quanto per quattro anni sono stati trascurati i nodi del debito pubblico e dei disavanzi annuali di bilancio. Chiunque vincerà le elezioni e formerà il governo si troverà in una situazione analoga a quella che dovette affrontare il Governo Amato nel 1991-92 non perché la Commissione europea espliciterà in primavera le proprie critiche alla Legge di bilancio, ma perché i mercati internazionali avranno seri dubbi a rifinanziare il nostro debito pubblico (date le dimensioni raggiunte e visto quanto sta uscendo sulla situazione del nostro sistema bancario). Occorrerà prendere provvedimenti drastici e spiegarli agli elettori prima di andare alle urne.
Per il medio periodo è essenziale una politica di riassetto strutturale che porti a quell’amento della produttività che latitata da circa venti anni. Su questo tema, nell’ambito del centrodestra liberale sta lavorando il Centro Studi ImpresaLavoro e, nell’area di centrosinistra, l’Arel fondato da Nino Andreatta. Non è chiaro se queste analisi saranno concluse in tempo per alimentare i programmi elettorali. Sarebbe auspicabile che lo siano.