“Il grande patto fra Berlusconi e Bolloré” su Telecom e Mediaset è stato presentato ieri da Repubblica come uno scoop e giornalisticamente non c’è dubbio che lo sia stato. Ma sul versante politico-finanziario non c’è dubbio che sia una notizia annunciata, meglio: il preannuncio di una mossa win-win-win sullo scacchiere.
Il primo e principale winner – potenziale – è senz’altro il Cavaliere. Un anno fa, alla vigilia del referendum che avrebbe potuto formalizzare la fine della Seconda Repubblica (Berlusconi-Prodi) e l’inizio della Terza (Renzi-Grillo/Resto d’Italia) Berlusconi sembrava accerchiato: superato sul piano politico, obsoleto su quello industriale (assieme all’intero duopolio televisivo italiano) e assediato alle spalle dal suo (ex) alleato francese. Se la pressione giudiziaria interna sembrava essersi un po’ allentata (sconfitta della Procura di Milano sui processi Ruby), quella esterna restava effettiva, con la Corte di giustizia Ue pochissimo intenzionata verso la richiesta di appello sull’eleggibilità. Tutto o quasi sembrava davvero a rischio: la rilevanza del politico, la competitività dell’imprenditore, la ricchezza familiare del finanziere (non considerando lo stato di salute dell’uomo).
Da allora avuto molte sponde il Cavaliere “d’opposizione”: Renzi stesso, con cui il filo del Nazareno non si è mai rotto per davvero. E anche – stavolta sì – un po’ di quel sistema bancario milanese che non è mai stato caldissimo con l’uomo di Arcore. Ma sta di fatto che una sistemazione evolutiva dei rapporti fra Telecom e Mediaset attraverso una stabilizzazione del ruolo di Vivendi non può spiacere a un establishment bancario del Nord che non è mai riuscuito nell’intento e che ora ha ha che fare con nuove ondate di crisi nel sistema creditizio (di ieri è un altro preannuncio: il Credito valtellinese potrebbe essere salvato dal gruppo francese Natixis). Il sistema-Francia – e non solo Vincent Bolloré – è senza dubbio un altro co-vincitore potenziale del “grande patto”: dopo l’arrivo di due top manager francesi ai vertici di UniCredit e Generali e l’armistizio su Fincantieri-Stx, una soluzione dell‘affaire Telecom-Mediaset segnerebbe un nuovo e pesante punto a favore dell’entente cordiale fra Roma e Parigi.
“Roma” – terzo vincitore potenziale del grande risiko media-tlc – andrebbe intesa in senso stretto: governo Gentiloni, ministro Padoan alla ricerca di appoggi francesi a Bruxelles, ministro Calenda abile nel giocare con elasticità la carta golden power su Telecom. A proposito di poteri pubblci sulle tlc: lo sblocco su Telecom avrebbe impatti notevoli sul futuro delle reti banda larga in Italia, finora reso incerto dalla contrapposizione fra Bolloré e Renzi.
(Telecom avrebbe potuto essere smontata della rete e ricostruita come media company già dieci anni fa: quando però Romano Prodi, vincitore incerto delle elezioni del 2006, negoziò malamente con Marco Tronchetti Provera, allora al timone. Al tavolo c’era Tarak Ben Anmar, ambasciatore del Cavaliere, c’era l’amico concorrente Rupert Murdoch. Mancava Berlusconi. Adesso c’è. E guarda caso c’è ancora Prodi).