All’inizio di questa settimana il primo ministro francese, Edouard Philippe, presenziando a un incontro organizzato dal consiglio nazionale dell’industria ha espresso il proprio pensiero in tema di acquisizioni sul suolo francese: “Non siamo naif, non esiteremo a difenderci se campioni francesi saranno minacciati, specialmente in caso di opa”. “L’attenzione non riguarderà solamente i settori della difesa e della sicurezza, ma tutti i settori inclusi quelli dell’agroalimentare e della cosmetica”. Non è chiaro se il primo ministro si riferisse ad alcuni casi particolari, anche se molti hanno associato le dichiarazioni ai rumour di opa su Danone usciti sul New York Post ad agosto o all’evoluzione dell’azionariato di L’Oreal. Qualsiasi siano i riferimenti, le implicazioni delle dichiarazioni di lunedì rimangono chiare.



Per la Francia non c’è alcuna distinzione tra aziende della difesa e non perché tutti i campioni nazionali, indipendentemente dal settore, devono essere difesi; non c’è neanche alcuna precisazione sul passaporto dell’acquirente. Nessun campione nazionale francese è stato oggetto di un cambio di controllo a opera di un investitore straniero. I tentativi di Enel sono stati abilmente rintuzzati e alla fine gli italiani sono rimasti fuori. Le aziende francesi che negli ultimi anni hanno vissuto fasi di forte difficoltà finanziaria, dal settore auto a quello petrolifero, sono state salvate con l’intervento dello Stato e, eventualmente, con il coinvolgimento di partner extraeuropei. I partner non europei hanno il merito di lasciare intatto o quasi la base produttiva, non potendola sostituire per meri motivi geografici, e in un’alleanza globale lasciano comunque spazio al sistema Paese locale; i partner europei invece sono una minaccia concretissima per il sistema Paese dell’azienda acquisita. Se Parmalat fosse stata acquisita da un’azienda californiana o cinese nessuno avrebbe sollevato i problemi o avuto perplessità sugli impatti, negativi, per la catena alimentare italiana.



Rileggere la storia di quello che è successo in Italia negli ultimi anni con decine di campioni nazionali passati di mano senza che il governo dicesse niente alla luce di queste dichiarazioni è un esercizio utile; in molti casi queste acquisizioni si sono tradotte in riduzioni drammatiche di capacità produttiva, di personale e, soprattutto, di competenze. Non si registrano differenze positive, per l’Italia, se l’acquirente è europeo; anzi. Il regalo più grande del primo ministro francese è quello di un minimo di sincerità, forse se ne è pentito, sulla posizione di un importante partner europeo, condivisa da molti altri come si vede per esempio sugli sbarramenti posti dalla Spagna all’italiana Atlantia che tenta in queste settimane, nel disinteresse del nostro governo, di comprare Abertis.



“Non dobbiamo essere naif”. Possiamo parlare di Europa, ovviamente, e di mercato, ma è chiaro non solo che non ci crediamo, ma che dobbiamo fare il contrario, altrimenti un sacco di gente perde il lavoro e perdiamo pure le competenze. Questa è la posizione francese e di tutti gli altri. È ormai talmente evidente che sorgono davvero dubbi sulla buona fede di chi invoca l’Europa per giustificare i saccheggi in Italia.