Periodicamente sul panorama fiscale nazionale, oppresso da imposte dirette e indirette, statali, comunali regionali e balzelli vari, le sorprese non mancano. I nostri governanti, vista la situazione catastrofica finanziaria che da sempre gravita sul “Bel Paese”, si arrovellano le meningi per scovare la maniera di imporre al contribuente italiano, come se ce ne fossero già poche, nuove forme di tributi; oltre a ciò, però, in modo a dir poco diabolico, i nostri “Soloni” in materia fiscale trovano sempre la maniera per aumentare il gettito ricorrendo a trucchi normativamente leciti, ma anche no, e se le sfumature legislative non sono ad hoc si ricorre all’incredibile e scandalosa scusa di non essersi accorti dell’errore. Tutto questo a discapito del sempre più “tartassato” popolo italico. 



La materia del contendere questa volta è tassa comunale detta Tari, nota tassa rifiuti super esagerata a livello di esborso, in considerazione di come avviene la raccolta della spazzatura delle nostre città, a parte alcune isole felici del nord. Tuttavia il “fato” ha voluto che un deputato abbia acceso il caso, con un’interrogazione parlamentare riguardante il calcolo della quota variabile della Tari e di conseguenza e stranamente il ministero dell’Economia e delle Finanze ha aperto la strada a possibili richieste collettive, con ricorsi al giudice tributario per la disapplicazione delle delibere illegittime se la risposta del Comune è negativa. 



Questo “ambaradan” inerente i tributi urbani sui rifiuti gonfiati pare riguardi quasi esclusivamente i possessori, oltre che di appartamenti, di box e cantine di pertinenza accatastate differentemente dagli stessi. Nello specifico, la modalità di calcolo della citata imposta comporta prima di tutto la divisione dei costi dei vari immobili e pertinenze secondo la loro metratura. Il computo tiene conto di una tariffa fissa e di una variabile: la prima viene calcolata in base al costo al metro quadro che va moltiplicato per i metri di superficie dell’appartamento e delle pertinenze; mentre l’imposta variabile è un elemento aggiuntivo che dipende dal numero di occupanti dell’immobile. La parte variabile deve tenere conto solo dell’appartamento e deve essere “zero” per le pertinenze. 



Come al solito per maggior chiarezza facciamo un esempio: per una casa di 105 metri quadrati in totale, di cui 80 di abitazione, 15 di garage e 10 di cantina accatastata a parte l’appartamento. La quota variabile, in questo caso, non sarebbe stata pagata una sola volta come previsto da legge, ma tre volte, arrivando quindi quasi al raddoppio della tariffa. Si può calcolare l’importo finale abbastanza semplicemente: è sufficiente prendere una bolletta della tassa rifiuti e controllare se oltre all’utenza “domestica” principale sono presenti altre voci “domestica-accessorio” e se è citato il valore “tariffa variabile”. Sulle pertinenze, infatti, la Tari può essere applicata come fossero abitazioni solo se chi le utilizza non è residente nel Comune, diversamente vanno considerate come accessori all’appartamento. 

A tale proposito è cosa assurda apprendere che il rigonfiamento delle cartelle riguarda gran parte dei Comuni più importanti e numerosi a livello abitativo e che tali appropriazioni indebite avvengono ormai dall’istituzione della Tari avvenuta nel 2014. Per capire se si ha diritto al rimborso occorre verificare l’annualità per cui si è pagato e se la tassa è stata ripartita in quota fissa e quota variabile. Se infatti è stata adottata la vecchia Tarsu, che era articolata unitariamente, non è possibile alcun rimborso. Inoltre, il diritto al rimborso è acquisito analizzando le cartelle ricevute: se sull’avviso di pagamento la quota Tari è specificata la componente variabile bisogna assicurarsi se sono state incluse le pertinenze. Se, box, cantine ecc., sono state conteggiate separatamente più volte, allora è possibile chiedere il rimborso. Se invece l’avviso di pagamento non contiene dettaglio, l’iter è molto più tortuoso e gravoso per il contribuente, in quanto occorre procurarsi copia del regolamento comunale sulla Tari e rifare i conti per verificare se si è pagato più del dovuto.

Per il rimborso occorre presentare apposita istanza entro 5 anni – che è il tempo di prescrizione di questa imposta – dal pagamento della stessa. Va inviata quindi domanda al gestore della Tari del Comune di competenza unendo un’istanza di ricalcolo e rimborso, con raccomandata A/R, chiedendo il riconteggio del tributo, lo sgravio degli importi illegittimamente e il rimborso di quanto pagato in eccesso oltre spese e interessi. Il comune deve rispondere entro 90 giorni dalla data della richiesta e ha 180 giorni di tempo per l’effettiva restituzione delle somme. Se il Comune e/o il gestore rigettano espressamente la domanda si può proporre ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente, entro 60 giorni dalla notifica del rigetto. Se invece il Comune non risponde o non restituisce la differenza, è possibile impugnare il tutto e ricorrere alla stessa Commissione. 

L’indennizzo, come previsto dal Mef, dovrebbe giungere a tutti i contribuenti che hanno pagato più del dovuto. Ma la consueta e inevitabile “sola” sta dietro l’angolo e riguarda i cittadini che hanno corrisposto esattamente il dovuto. Infatti, in base al Decreto Tonchi (D. Los 22/97), ogni anno il Comune fissa a bilancio una voce di costo per lo smaltimento dei rifiuti, proporzionando la gabella tra i suoi contribuenti in modo da coprire l’esborso. Essendosi ora scoperchiata la pentola e alcuni in passato hanno versato più del dovuto e hanno il sacro santo diritto a una rifusione, il Comune avrà sempre – poniamo – 100 alla voce del costo del servizio, ma qualcosa di meno di incassi relativi. Pertanto – e ti pareva… – di queste poste passive l’Ente deve comunque rientrare, spalmando inopinatamente su tutti noi i costi del mancato introito. 

Concludendo, che dire: è tragicamente noto che quando il contribuente risulta evasore il Fisco usa ogni persecuzione e metodo per far pagare quanto a lui dovuto tutto e subito, al contrario quando lo Stato deve dei soldi al cittadino gli amministratori pubblici fanno di tutto per complicare il legittimo incasso a suon di ricorsi, carte bollate, file estenuanti, ecc. Si pensi poi quante persone che non sono informate, non esercitano un loro diritto, non facendo nulla e così le casse dello Stato “ingrassano” indebitamente. Forse sarebbe meglio un conguaglio a favore del contribuente scalando il rimborso dalle successive tasse comunali. 

Come al solito mi piace terminare l’articolo con qualche frase a volte quasi demenziale, ma che rende l’idea di quanto scritto. Questa volta traggo spunto da “I Barbapapà”, un cartone animato adatto ai bambini più piccoli, trasmesso in tv parecchi anni fa; il tormentone diceva in ogni puntata: “Resta di stucco, è un barbatrucco”. Il brutto è che purtroppo nulla ci lascia più di stucco, abituati a subire ingiustizie a ogni nuovo intervento tributario dello Stato e di conseguenza dover versare fiumi di lacrime sempre più amare.