Strano Paese il nostro, ieri ne è stata la dimostrazione plastica. Al netto di qualche accenno esotico rappresentato dalla sentenza contro Ratko Mladic, gli occhi erano inesorabilmente tutti puntati su Strasburgo: come in un ideale viaggio a ritroso nel tempo, Silvio Berlusconi era tornato a essere il protagonista assoluto. La miseria di uno Stato e di una classe politica, a volte, non ha bisogno di altro che della constatazione del presente. Peccato che questo atteggiamento comporti dei costi. Alti. E non tanto per la cosiddetta classe dirigente, bensì per quel popolo che – magari – la prossima primavera un Berlusconi potenzialmente ricandidabile lo rimanderà a palazzo Chigi. Ma anche, chi voterà Pd o 5 Stelle. Non riusciamo ad avere focus, come dicono quelli che parlano bene. Perché mentre ci gingillavamo, in Commissione d’inchiesta sul segreto bancario andava in onda uno show da brividi con protagonista il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, tornato per la terza volta in audizione. E l’argomento del giorno era di quelli non di poco conto: Mps. Guarda caso, forse distratti da Berlusconi o Mladic, i media hanno tenuto bassissimo l’argomento nelle loro versioni on-line. Quasi nascosto. Vediamo di fare un po’ di informazione noi, allora.
«Nella crisi dell’istituto senese – ha rilevato Barbagallo – un ruolo significativo lo ha avuto la Fondazione che ha inteso mantenere a lungo, anche quando non ce ne erano più le condizioni, una posizione di dominio comunque di rilievo, erodendo il proprio patrimonio e indebitandosi». Stando al capo della Vigilanza di Bankitalia, poi, «gli effetti della congiuntura e in generale del contesto esterno sul bilancio della banca, di per sé già profondi, sono stati amplificati dai comportamenti gravi e fraudolenti posti in essere sin dal 2008 dai precedenti esponenti di vertice, che hanno indebolito gravemente la banca e ne hanno messo in discussione la reputazione. Tali comportamenti – emersi progressivamente grazie alle attività di verifica della Banca d’Italia e alle indagini dell’Autorità Giudiziaria – sono oggi al vaglio del giudice penale», ha aggiunto Barbagallo. Infine, sempre stando al funzionario di Bankitalia, «i rischi finanziari hanno messo in grave difficoltà Mps; alla lunga, è stato però il rischio di credito che ne ha minato più in profondità l’equilibrio economico-patrimoniale. Gli Npol hanno generato perdite nell’ultimo decennio per circa 26 miliardi. La banca raggiunge il picco di circa 160 miliardi di crediti nel biennio 2009-2010».
Ma c’è dell’altro: «I crediti anomali di Mps – che a fine 2016 erano ripartiti tra quasi 19mila debitori – sono frazionati e distribuiti lungo tutto il territorio nazionale; per l’84% essi riguardano imprese, in larga parte medio-piccole; i prenditori che hanno ricevuto prestiti singolarmente superiori a 25 milioni sono 107 e rappresentano, per ammontare, il 12,7% del credito deteriorato totale. I dati disponibili non mostrano un contributo decisivo di Banca Antonveneta agli Npl di Mps. All’atto dell’acquisizione, i prestiti dell’ex banca veneta presentavano una rischiosità più accentuata rispetto a quelli del Monte, ma la loro incidenza su quelli del gruppo era di poco superiore al 20%. Inoltre, a fine 2016, la quota di crediti deteriorati erogati nel Nord-Est è pari al 18 per cento degli NPL del gruppo».
Insomma, la Vigilanza di Bankitalia ha una certezza: è stata la volontà di essere “sistema” a uccidere Mps, non tanto il suicidio Antonveneta. E perché è stata zitta finora, visto che anche i sassi sapevano che a Siena, il Monte era l’unica autorità che davvero contasse, la “banca rossa”? Di più, l’intera Toscana vi faceva in qualche modo riferimento, salvo ampliare l’ambito di interesse con le varie acquisizioni. Perché il normale cittadino può non sapere o tacere, il giornalista può denunciare o non denunciare, ma la vigilanza di Bankitalia in era post-lira, ovvero da quando non ha più formalmente compiti operativi, cosa sta a fare, se la terza banca del Paese opera nei modi descritti da Barbagallo? Il quale, forse, ha una ragione per puntare il dito sul sistema e, di fatto, “scagionare” Antonveneta. Sentite cosa ha detto in Commissione: «L’operazione di acquisizione di Antonveneta non era assistita da due diligence indipendente, non richiesta dalla normativa di vigilanza Peraltro, a Mps era stato consentito di accedere dal 19 novembre 2007 presso Antonveneta al fine di verificarne la situazione tecnica e organizzativa… L’acquisto di Antonveneta da parte di Mps era a portata dell’istituto senese riguardo ai suoi obiettivi patrimoniali. Nell’autorizzazione, l’istituto centrale chiese di costituire adeguati buffer patrimoniali entro la fine del 2008 con un aumento di due punti degli indici di capitale. Ho guardato i documenti per capire come mai si chiedesse un impegno tale e la spiegazione che mi sono dato è che Mps realizza un utile di 1,3 miliardi e 1 miliardo nel 2008 che sarebbe andato a patrimonio. Poi, dalla validazione dei modelli interni, si aveva un ulteriore vantaggio di 2 miliardi. Ogni miliardo corrispondeva a un punto degli indici».
Infine: «Come per ogni altra autorizzazione della specie, la definizione del corrispettivo per l’acquisizione rientrava nell’esclusiva responsabilità delle parti e non era soggetta all’approvazione della Vigilanza. Secondo quanto comunicato dalla banca, il prezzo era stato stimato applicando un metodo di largo uso (il dividend discount model) verificato attraverso un confronto con i multipli di mercato». E qui sta la follia: Bankitalia, di fatto, prende atto di ciò che sta facendo Mps anche se sa che è una pazzia finanziaria, ovvero sa che sta applicando modelli che assomigliavano più a schema Ponzi che a contabilità fattiva. Di fatto, uno scaricabarile totale sul vecchio management e un qualcosa di ancor peggiore: utilizzare la prospettiva di lettura del “sistema Mps” – pur verissima – come unica ragione del tracollo, quando tutti sanno che fu proprio l’operazione Antonveneta a dare il colpo di grazie all’istituto senese, ben più del tanto giubilato derivato Santorini.
In parole povere, anche a livello di Commissione d’inchiesta, dovrà pagare Mussari: tutti gli altri o non sapevano o erano soggetti al suo potere totale e malefico, povere vergini vestali. Bankitalia in testa. E che quanto vi sto dicendo sia la realtà di un’ente totalmente disfunzionale e apicalmente incompetente, lo dimostra la plastica contemporaneità di un evento proprio con la terza audizione di Barbagallo: l’aumento di capitale Carige. Il quale, ieri è partito ufficialmente sotto un ottimo auspicio: sono infatti tre le ispezioni della vigilanza che investono la traballante banca genovese, stando al prospetto informativo che rivela come il gruppo bancario ligure sia bersaglio di intense “attività ispettive”, di cui la prima per mano della Bce. In particolare, sotto la lente d’ingrandimento sarebbero finite l’attuazione del principio contabile IFRS9 (introdotto nel 2015 per misurare più correttamente il valore degli strumenti finanziari a bilancio); la profittabilità e il modello di business; la qualità dei flussi informativi interni ed esterni. Direte voi: e cosa diavolo significa? Che, se per caso, Carige non passasse uno di questi test – Bce in testa – si aprirebbe immediatamente la necessità di un nuovo aumento di capitale, il quarto e quando ancora non sappiamo il destino del terzo appena iniziato. Di più: tanto è l’entusiasmo e la fiducia dei mercati che la Malacalza Investimenti – oltre a impegnarsi a sottoscrivere la sua quota del 17,587% – garantirà l’eventuale inoptato dell’aumento da 560 milioni, «fino a un massimo di 69,48 milioni di euro». Ovvero, il socio forte deve andare avanti a colpi di garanzie – sempre più risicate – pur di ingenerare un minimo di credibilità nell’operazione, svenandosi per la disperazione.
I numeri, d’altronde, parlano chiaro. I principali soci di Carige si sono complessivamente impegnati a sottoscrivere 128,47 milioni dell’aumento, mentre per coprire i restanti 369,5 milioni dell’aumento in opzione ci sono in essere contratti ulteriori relativi a 234,4 milioni di euro. Di questi, 69,48 milioni verrebbero coperti da Malacalza Investimenti, 130 milioni dagli investitori che hanno sottoscritto accordi di garanzia di prima allocazione con Equita Sim e 35 milioni saranno trovati con altri mezzi. Insomma, su 560 milioni di aumento totale, a oggi la parte sicuramente non coperta è di 135 milioni. Il tutto, al netto della tagliola di cui vi ho parlato prima. Stando alle normative Ue, infatti, all’istituto potrebbero servire «ulteriori iniziative di rafforzamento patrimoniale con effetti negativi rilevanti sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria, nonché sulla prospettiva della continuità aziendale della banca e del gruppo».
Infine, l’argent de poche: per quanto riguarda le spese dell’aumento di capitale, comprese le commissioni da riconoscere ai membri del consorzio di garanzia e a Equita Sim, si stimano in circa 51,7 milioni al lordo dell’effetto fiscale. Di cui, tanto per gradire, 14,7 milioni che l’emittente sosterrà a prescindere dal perfezionamento dell’aumento di capitale. Il tutto, dopo due precedenti aumenti rispettivamente da 800 e 850 milioni di euro, finiti in nulla.
Di Carige non si parla e non si parlerà in Commissione d’inchiesta, anche perché – incrociando le dita – non siamo ancora né alla risoluzione, né al salvataggio statale. Resta però una domanda: Bankitalia dov’era, mentre si consumava quest’altro attentato alla tutela del credito in riva al mare e sotto la Lanterna? Colpa del mercato, dei prospetti, dei via libera e delle due diligence non necessarie? Se è così, benissimo, prendiamo atto. Però, allora, chiudiamo questa sera le porte di Palazzo Koch per sempre, causa manifesta inutilità. Almeno qualche soldo i cittadini-contribuenti lo risparmieranno, dopo tutti quelli persi da obbligazionisti e soci delle banche allegre.