Sembra quasi che, giorno dopo giorno, la paura cominci davvero a fare novanta. E alcune certezze, alcune posture da grandi uomini che non temono la realtà, qualunque essa sia, svaniscono, tramutandosi in più miti consigli. «Ci vuole la massima cautela, pensiamo alla ricaduta internazionale. Decideranno i parlamentari ma probabilmente potranno bastare le audizioni ai dirigenti della Banca d’Italia di quel periodo». Chi ha detto queste parole ieri mattina in un’intervista a Radio Capital? E riferito a cosa? Il presidente della Commissione di inchiesta sul sistema bancario finanziario, Pier Ferdinando Casini, definendo «non strettamente necessaria» l’audizione dell’ex governatore, Mario Draghi. Ma guarda.
Ma Casini ha detto anche altro, molto interessante: «L’indagine parlamentare dei crac di Veneto Banca e Popolare di Vicenza ha fatto emergere un quadro sconfortante di corruzioni private e di tanti risparmiatori truffati cui sono stati collocati prodotti tossici.. Il nostro compito non è quello di fare processi alle persone, quelli si svolgono in Tribunale dove gli imputati possono difendersi». E ancora: «Noi dobbiamo analizzare i fatti da un punto di vista sistemico muovendoci, tra l’altro, in un orizzonte temporale molto limitato. Questa Commissione ha iniziato la sua operatività da un mese e ne avrà a disposizione più o meno un altro per una serie di inchieste che abbracciano la crisi delle ex Popolari, di Banca Etruria, Marche, Chieti e Ferrara oltre a Mps». Ora, è sacrosanto che i processi penali si svolgano nelle sedi appropriate, ma, al netto che finirà in un nulla di fatto e in una relazione finale ampiamente incompleta, di grazia a cosa serve la Commissione d’inchiesta, avendo essa gli stessi poteri e le stesse prerogative della magistratura ordinaria che si chiama in causa?
Poi, Casini va anche sul personale, quando gli si chiede conto delle non audizioni di Gianni Zonin e Vincenzo Consoli: «Semplicemente perché è giusto che i processi si facciano in Tribunale ed è corretto che noi non interferiamo con il corso degli iter giudiziari. Avendo tempi limitati, inoltre, abbiamo dovuto compiere delle scelte altrimenti avremmo inseguito tutto per non acchiappare niente». Sicuro che sia davvero questa la ragione? O forse si teme che sia l’uno che l’altro convenuto potrebbe rendere noti particolari spiacevoli per la politica che li sta mettendo alla sbarra? Oltretutto, in diretta. Eh già, pochi giorni e il muro di certezze traballa, i cavalieri senza macchia e senza paura cominciano a riprendere il trolley in mano il giovedì pomeriggio. Si parlerà ancora di Mps, forse di Popolare di Vicenza, ma le quattro banchette che hanno terremotato il governo Renzi arriveranno all’appello fuori tempo massimo. Insomma, ci sono banche e banche. E ci sono quelle di cui in Commissione non si parlerà, ma che obbligano a parlare il ministro Padoan, intervistato da Repubblica: «Carige ha concluso un accordo per un aumento di capitale con un’operazione pienamente di mercato. Non è un focolaio di crisi, ma una coda. Creval è una operazione più piccola, non ha criticità ma ha lanciato un forte aumento di capitale, proprio quando l’addendum della Bce ha reso tutti un po’ più nervosi. Quindi non considero questi due episodi un segnale di un sistema in acque difficili».
Stando a Padoan, poi, in merito alla stretta della vigilanza unica dell’Eurotower sulla copertura dei crediti deteriorati, «è importante che le banche si liberino dalle sofferenze, ma non devono farlo a velocità eccessiva, sennò i mercati reagiranno male quando gli istituti saranno costretti a nuovi aumenti di capitale. E la sede giusta per proporre norme che riguardano tutte le banche della zona euro è la Commissione e non la Bce». Dunque, lo stesso Padoan che non più tardi di sei mesi fa ci diceva che il sistema bancario italiano era solidissimo e solvibile, sente il bisogno di tranquillizzarci riguardo la non sistematicità dei due nuovi casi emersi nel nostro panorama bancario: brutto segno. Anche perché parliamo dello stesso ministro che ha escluso una manovra correttiva da 5 miliardi in primavera, come ovvia risposta alla lettera giunta mercoledì dalla Commissione Ue riguardo il rischio di deviazione dei conti nel Def: ieri mattina, intervistato a Omnibus, Mario Monti si è detto certo che quella manovra correttiva ci sarà. E parliamo di uno che di Europa e conti ne sa qualcosina.
Tanto più che parliamo dello stesso Padoan che, a detta de La Stampa, quando l’aumento di capitale di Carige sembrava saltato, avrebbe dichiarato che «l’Italia non può permettersi un’altra crisi». Certo, il Mef smentì, ma resta un punto: al netto di quanto già coperto e delle garanzie – minime – sull’inoptato, Padoan è certo che entro fine anno il mercato coprirà le esigenze di Carige, stante oltretutto tre revisioni in atto sui conti che potrebbero imporre paradossalmente un altro aumento fin d’ora? Lo so, compito di Padoan è evitare allarmismi, ma questa strategia, utilizzata a piene mani finora, non ha portato benissimo.
Ma ieri è stata giornata di molte parole, tutte molto ben chiare e indirizzate. Ad esempio, queste: «Vanno bene e sono utili le fusioni fra le popolari, specialmente per le più piccole, ma evitando il gigantismo che in tanti casi ha causato dissesti, anche nelle spa come il Monte Paschi di Siena». Parole di Corrado Sforza Fogliani, presidente di Assopopolari, al Forum Ansa, spiegando che le operazioni di consolidamento possono essere utili, ma «non sono obbligatorie e necessarie per un comparto che vanta indici di capitalizzazione Tier1 al 12% contro la media dell’intero sistema del 7%». Torna la guerra interna al comparto? Il caso Creval potrebbe diventare il cavallo di Troia per inghiottire a prezzi di saldo istituti strategici sul territorio, oltretutto con la scusa perfetta delle richieste in tal senso della vigilanza Bce?
Il riferimento pare chiaro. E altrettanto chiaro è Sforza Fogliani quando dichiara che «l’addendum della Bce sulle linee guida per i crediti deteriorati delle banche metterebbe in ginocchio alcune banche. Credo, comunque, che si vada a un rinvio dell’entrata in vigore della norma e si può legittimamente sperare che venga modificato nel merito». Di più, «l’addendum è un fatto negativo e l’Abi ha reagito in maniera decisa, così come la politica italiana che, per la prima volta, ha compreso come sia importante la nostra presenza attiva in Europa. L’Europa è un tavolo di contrattazione e bisogna andare preparati».
Sacrosanto, occorre andare preparati. E siccome vi ho detto con ampio anticipo che il tema Npl/addendum sarebbe diventato sistemico, voglio dirvi con altrettanto largo anticipo cosa sarà a turbare i sonni di banche e, soprattutto, imprenditori europei nelle prossime settimane. E lo faccio partendo da questo grafico: ci mostra di fatto la quota CapEx, ovvero di investimenti fissi, per azione relativa all’indice benchmark europeo, l’EuroStoxx.
E cosa vuol dire, tradotto in linguaggio corrente? Che al netto del diluvio di soldi che le aziende europee stanno ottenendo dalla Bce attraverso il programma di acquisto di bond corporate – l’altro baluardo della cosiddetta “ripresa” europea di cui vi parlo da mesi e mesi -, gli investimenti restano bassissimi. Sintomo di poca salute, visto che quel denaro va altrove. E dove? Qualcuno pare volerlo scoprire. La Banca centrale europea sta infatti riesaminando il suo programma di acquisto di obbligazioni societarie, che dovrebbe assumere un maggior rilievo il prossimo anno, quando scatterà la riduzione del ritmo di acquisti del piano di Quantitative easing. Lo scriveva ieri Bloomberg che citava alcuni funzionari, a detta dei quali lo studio del Market Operations Committee sta esaminando l’efficacia degli acquisti di corporate bond non solo in termini di offerta di credito all’economia dell’Eurozona, ma, soprattutto, per verificare se ci siano distorsioni, ovvero deviazione dei benefici a favore delle grandi aziende e i loro azionisti.
In generale, il mercato mette in conto che la quota di acquisti di bond societari aumenterà anche a fronte del problema della carenza di alcuni bond governativi sui mercati, a partire da quelli della Germania. Lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, il mese scorso aveva puntualizzato che «l’acquisto di titoli aziendali rimarrà considerevole». Minaccia o realtà? State certi che, al pari dell’addendum, anche questa variabile diventerà virale. Come la paura.