C’è una guerra in atto in Europa. Ormai nemmeno più troppo strisciante. E decisamente pericolosa, visto che i due soggetti che si stanno combattendo, formalmente, dovrebbero cooperare per il bene dell’Unione e,soprattutto, dei suoi cittadini: Europarlamento e Bce. E non si tratta di una guerra di retroguardia, perché nell’ultimo scontro andato in onda ieri sono stati ancora una volta i massimi vertici delle due istituzioni a menare fendenti. E non a vuoto. Prima, però, l’antefatto.
Giovedì MF-Milano Finanza ha pubblicato la notizia in base alla quale proprio il Parlamento europeo starebbe lavorando a una bozza della nuova direttiva bancaria (Crr2 e Crd5) che sterilizza in automatico gli effetti contabili nei bilanci di maxi-cessioni di crediti deteriorati. È un punto fondamentale, come messo in rilievo da molti banchieri italiani e dalla stessa Abi, perché le grandi manovre di vendita a sconto di Npl vanno a incidere sulla serie storica della Loss Given Default (Lgd), la stima di perdita in caso di insolvenza del debitore e costringono le banche a dotarsi di ulteriore capitale di vigilanza. La bozza, che reca la firma del tedesco Peter Simon, prevede che una banca possa escludere le grandi cessioni di Npl dalle stime Lgd (articolo 181 Crr), avvisando l’autorità competente (cha avrà solo 5 giorni di tempo in caso si voglia opporre) su portata, composizione e tempi della vendita. Non a caso è un tedesco a firmare la bozza, visto che molte Landesbanken della Germania del Nord (l’area anseatica) hanno sulle spalle enormi carichi di Npl derivanti dal settore navale.
Insomma, una buona notizia per le banche. Ma, nei fatti, uno scavalcamento della Vigilanza Bce, la quale con la sua normativa sull’addendum relativo alle coperture a bilancio di Npl ha mandato nel panico gli istituti bancari di mezzo continente. E non era una buona giornata quella di ieri per pestare i piedi alla Bce, visto che di buon mattino Danske Bank aveva messo in guardia gli investitori dai movimenti dell’euro. Stando agli economisti, una rottura della resistenza a 1,1880 «è ora chiaramente un rischio ed è probabile»: il tutto, messo nero su bianco dopo le minute rese note giovedì dalla Banca centrale europea.
I verbali rivelano infatti che alcuni membri del board hanno considerato di separare la guidance sull’operazione di Quantitative easing dalla richiesta di un’inflazione sostenuta: «Questo è fondamentale per l’euro perché apre alla possibilità che la Bce chiuda il piano di Qe nel 2018 anche senza una ripresa stabile dei prezzi e crei le basi per una nuova politica di normalizzazione dei tassi. Con la conseguenza che la valuta comune salirebbe», spiega Danske Bank. Da aggiungere che nella primavera del 2019 ci sarà la nomina di un nuovo governatore della Bce: se provenisse dall’area del centro-Nord Europa, sarebbe ovviamente molto più favorevole al rialzo del costo del denaro.
Insomma, inflazione che non sale, tapering parzialmente annunciato ma da gestire, revisione potenziale del programma di acquisto di corporate bonds e ora anche l’euro in overshooting che torna a creare aspettative per un rialzo dei tassi e per tensioni sull’export: all’Eurotower di lavoro ne hanno. Capirete quindi che i continui interventi in tackle scivolato dell’Europarlamento sugli Npl non sono visti come graditi. Anzi. Ma tant’è, qualcuno ieri ha pensato di infischiarsene del clima che circola a Francoforte e sparare ad alzo zero. «Non sta ai tecnocrati fare le leggi, al contrario, a loro spetta applicare le decisioni del potere legislativo», così nientemeno che il Presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, è intervenuto sulla nuova bocciatura in arrivo per l’addendum sugli Npl, proposto dal capo della vigilanza della Bce, Daniele Nouy. «Il servizio giuridico del Consiglio Ue conferma l’opinione del giureconsulto del Parlamento evidenziando la correttezza e la solidità giuridica della mia posizione: qualsiasi attività legislativa della vigilanza Bce è illegittima», ha concluso Tajani.
Ma come mai questo attacco, l’ennesimo, da parte della massima carica del Parlamento Ue? Perché la Nouy non solo non lascia sulla questione addendum ma raddoppia. In un ideale ping pong di accuse, ecco infatti cosa ha dichiarato il capo della vigilanza Bce: «In alcune parti dell’eurozona il rapporto tra crediti deteriorati e totale dei prestiti è ancora molto alto, troppo alto e l’obiettivo dell’addendum della Bce sulla gestione degli Npl è chiaro e diretto: le banche devono disporre di adeguate disposizioni». E ancora: «Abbiamo aspettative ferme su questo, che abbiamo precisato. Ma per essere chiari: quello di cui sto parlando qui sono le aspettative di supervisione. Non ci sono azioni automatiche ad esse collegate. La nostra guidance fornisce la base per un dialogo strutturato con ogni singola banca», ha spiegato ancora Nouy. Stando all’alta funzionaria della Bce, serve infatti «uno sforzo congiunto da parte di banche, autorità di vigilanza, autorità di regolamentazione e politici per risolvere il problema dei prestiti in sofferenza, anche perché quando si tratta di risolvere gli Npl in tribunale, vi sono enormi differenze tra i Paesi dell’area dell’euro e questo è qualcosa che i governi nazionali possono affrontare. In un’unione bancaria, non ci dovrebbero essere differenze significative in termini di tempo necessario per recuperare gli Npl in tribunale».
E la Nouy pare far capire che le dilazioni cui puntano Tajani e l’Europarlamento non sarebbero affatto gradite alla Bce: «Alla luce del miglioramento dell’economia, mi verrebbe da dire: se non ora, quando?». E tanto per mettere il carico da novanta su un altro tema decisamente caldo, ecco che arriva la bordata che avrà fatto fischiare le orecchie in sede Abi: «Nell’Eurozona ci sono troppe banche e ciò produce una competizione feroce e bassi margini di guadagno. Dunque, è necessario un consolidamento nel settore. In una certa misura, questo sta avvenendo, visto che dal 2008 il numero delle banche nella zona euro è calato del 25%». Ma nonostante questo, per la Nouy «l’elevato numero di istituti di credito nell’eurozona rende il settore bancario meno efficiente e spinge le banche ad adottare un comportamento insostenibile».
Normale dialettica? Direi proprio di no. Perché se interventi come quelli di Antonio Tajani sono già irrituali una tantum, quando divengono con cadenza quasi giornaliera si tramutano in sintomi chiari di un confronto che non è nominalistico, bensì di sostanza: Tajani ha schierato l’Europarlamento e tutte le sue autorità contro la decisione della Bce di introdurre manu militari l’addendum e lo sta facendo non solo in punta, almeno per quanto lo riguarda, di diritto ma anche aprendo all’ipotesi di una prova di forza: ovvero, arrivare a inizio anno in un’atmosfera di muro contro muro, proprio quando la legislazione dovrebbe formalmente entrare in vigore. E se un rinvio è pressoché scontato, attenzione a fare i furbi una volta di più delle carte che si hanno in mano, giocando con la Bce: sono davvero troppi i dossier all’attenzione della vigilanza che potrebbero tradursi in altrettanti jolly da giocare non appena la mano si facesse troppo dura.
Tajani non dispone di così tante carte e, soprattutto, non può contare in automatico sulla solidità dell’Europarlamento, spaccato da sempre in fazioni e correnti, prima nazionali che politiche. Insomma, il presidente si sta prendendo un gran bel rischio, ma, al tempo stesso, sta creandosi il profilo del politico tutto d’un pezzo che non teme scontri titanici in difesa dell’eurozona, in questo caso in difesa dello strategico e sistemico sistema bancario. Lo fa per convinzione o perché sa che in primavera dirà addio per diventare candidato premier del centrodestra? Ai posteri l’ardua sentenza. Per ora c’è una certezza: chi ha messo strumentalmente sul tavolo la carta dell’addendum con quel timing, intendeva creare condizioni di caos. Quindi, qualcosa bolle in pentola. O bollirà.