La successione a Giuseppe Vegas al vertice Consob si annuncia per molti versi più complessa della conferma di Ignazio Visco in Bankitalia, pur accidentata. Sarebbe riduttivo, anzitutto, vedere nel rinnovo della commissione di Borsa una sorta di match di ritorno di quello che ha visto Matteo Renzi respinto – essenzialmente dal Quirinale – nel tentativo di cambiare il governatore. Certamente il leader del Pd farà di tutto per pilotare la nomina (si dice che il suo candidato sia l’economista milanese Marco Fortis): o quanto meno per accreditare come sua la designazione del Consiglio dei ministri attesa entro Natale. Ma sicuramente Renzi corre il rischio che il finale della partita Consob venga deciso su un campo più ampio e articolato rispetto al suo prediletto “game power” tattico.



E alla base di questo sviluppo c’è soprattutto la cocciutaggine dello stesso Renzi nel voler mandare in scena la commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria. Uno spettacolo per molti aspetti surreale (la sfilata di semi-anonimi funzionari-schermo dei capi-authority che in poche mezz’ore dovrebbero “raccontare la verità” al parlamento su crack epocali come quello di Mps); nondimeno un passaggio di estrema delicatezza. 



Non casualmente una parte crescente della audizioni viene secretata (ne filtrano solo sintesi frammentarie e poco trasparenti), mentre di pari passo sta aumentando l’agitazione interna alla commissione. La seduta di venerdì (protagonista il direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via accusato di “reticenza” da commissari di vari schieramenti) è stata più volte interrotta e il giorno prima il presidente Pier Ferdinando Casini, ha dovuto affidare a un’imbarazzata intervista radiofonica il no alla richiesta (da parte di chi?..) di convocare il presidente della Bce, Mario Draghi a testimoniare sul caso Montepaschi. “Non possiamo mettere a rischio la reputazione di Draghi”, ha detto Casini: argomento politicamente corretto ma molto insidioso per la reputazione di merito del banchiere centrale (italiano) dell’euro. No – pare – anche all’audizione dell’ex Ad di UniCredit Federico Ghizzoni, citato dall’ultimo libro di Ferruccio De Bortoli riguardo il presunto pressing del ministro Maria Elena Boschi per il salvataggio di Banca Etruria.



Il nuovo presidente della Consob verrà scelto, in ogni caso, su questo sfondo: confuso tanto quanto attraversato da tensioni elettorali e istituzionali. Il toto-candidati va quindi setacciato con attenzioni specifiche, al di là di suggestioni di superficie, come ad esempio il duello più o meno reale fra Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che spingerebbe il suo capo di gabinetto Roberto Garofoli. Ad esempio: il nome di Giuseppe Maria Berruti, commissario Consob designato dal governo Renzi nel 2016, noto come fratello di un fiscalista di Silvio Berlusconi, viene citato relativamente poco e per lo più come rituale ”ipotesi interna” di successione Vegas. In realtà l’opzione Berruti sembra rappresentare una dinamica profonda nell’attuale fase di riassetto dell’architettura delle authority, non solo finanziarie. 

Nessuno dimentica come tutte le sessioni dei lavori della commissione parlamentare siano invariabilmente iniziate con audizioni di magistrati: il capo della Procura di Milano Francesco Greco nella seduta inaugurale; quello romano Giuseppe Pignatone e quello vicentino Antonino Cappelleri per le Popolari Venete, i capi del palazzo senese su Mps. È stato l’ordine giudiziario – non solo simbolicamente – a dipanare in commissione una “narrazione” dalla quale l’intero sistema della vigilanza finanziaria (Bankitalia inclusa) è uscito già bocciato: superato, disorganizzato, frenato da rivalità personali e burocratiche. Una vigilanza, insomma, da commissariare: e da chi se non da un magistrato, a cominciare dalla Consob?

Perfino il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini – lui stesso al centro di rumor-Consob – si è detto favorevole alla creazione di una “super-procura finanziaria”: naturalmente ha parlato un politico istituzionalmente chiamato a “tenere a bada” i magistrati e forse dimentico che la super-authority unica per banche e finanza – Ue-Bce oggi permettendo – era già stata considerata e poi scartata nel 2005. Certamente la più recente riforma nazionale della tutela del risparmio data prima della grande crisi finanziaria e delle pesanti ri-regolazioni internazionali.

Berruti, si dice comunque, non spiacerebbe a Renzi, soprattutto in chiave di preparazione del terreno a un’intesa post-elettorale fra Pd e centrodestra. Sicuramente invece il magistrato non pare gradito ai colleghi della procura finanziaria per eccellenza: quella di Milano. È di pochi giorni fa la notizia che un singolare esposto individuale di Berruti contro una funzionaria Consob in relazione a un coinvolgimento personale nel crack Veneto Banca, è stato velocemente e pubblicamente archiviato dal palazzaccio milanese: il comportamento della funzionaria sarebbe stato deontologicamente discutibile ma non penalmente rilevante. Un effetto botta e risposta significativo, cui è subito seguita l’immissione nel ventilatore mediatico di candidati Consob come il professionista milanese Alessandro Provasoli o i giuristi bocconiani Luigi Arturo Bianchi e Marco Ventoruzzo: nomi di stretto “rito ambrosiano”, quello che ha visto, nei due ultimi decenni, un intenso gioco di squadra culturale, giudiziario e politico fra il palazzo di giustizia, gli atenei e i grandi studi legali (Mignoli, Marchetti, Rossi, ecc.) crocevia dei grandi affari e delle grandi istituzioni finanziarie.

L’esito – forse paradossale – del complicato autunno della vigilanza finanziaria potrebbe essere l’emergere di una Consob rafforzata e orientata al dopo-crisi, laddove la conferma di Visco forse suo malgrado ha lasciato Bankitalia ingessata in se stessa nel mezzo del guado di una grande crisi ormai trascorsa.