“Economy is booming” per dirla con Chris Williamson, l’economista che dirige la società che, dal 1995, misura la salute dell’economia reale attraverso gli indici Pmi basati sugli acquisti delle imprese. Dal suo osservatorio emerge che il motore dell’economia reale sta andando a mille, la miglior performance da sei anni e mezzo. Tutti gli indicatori, dalla produzione ai consumi, dall’occupazione alla ripresa dei prezzi, viaggiano al massimo al punto che, secondo l’ufficio studi di Unicredit, il Pil dell’Eurozona 2017 promette di salire del 3%, garantendo una partenza sprint per l’anno prossimo. Nemmeno il rialzo dell’euro, risalito a 1,1850 sul dollaro, sembra in grado di rallentare la corsa, alimentata dalla corsa dell’export che coinvolge anche il manufacturing italiano: a ottobre c’è stato un avanzo di 4,554 miliardi di euro nella bilancia commerciale extra Ue dell’Italia, l’11,2% in più dello scorso anno. Tenendo conto del minor numero di giorni lavorati, trova conferma la crescita della produzione industriale a settembre: +5,2% grazie sia all’export +6,3% ma anche al mercato interno +4,6%. Il risultato del terzo trimestre registra una crescita dello 0,8% rispetto al precedente.  



Va a gonfie vele la locomotiva tedesca, per niente turbata dalle difficoltà politiche dei giorni scorsi, in via di superamento. L’indice Ifo sulla fiducia delle imprese tedesche è salito in novembre a 117,5 contro una previsione di 116,6. I social-democratici tedeschi hanno d’altronde detto di esser pronti ad affrontare una serie di colloqui con altri partiti per superare l’impasse creatasi dopo il fallimento delle trattative per formare un nuovo governo. Stesso clima a Parigi: l’attività delle aziende francesi è cresciuta a novembre al ritmo più rapido degli ultimi sei anni e mezzo. Intanto le recenti riforme del lavoro hanno spinto le aziende ad assumere personale ai massimi dal 2001. Insomma, la politica espansiva della Bce, presidiata con il massimo vigore da Mario Draghi, ha permesso di curare le ferite più dolorose della crisi. Perfino la Grecia si avvia a una normalità impensabile solo un anno fa.



Ma adesso? Quali prospettive ha la ripresa di proseguire? Dal punto di vista dell’economia reale la risposta è ottimista, secondo Williamson. Ci sono tutte le premesse perché i progressi di questi mesi si traducano in crescita dei posti di lavoro, dei consumi e degli investimenti. Già in promettente ascesa in Italia. È scontato che la liquidità, tra l’altro favorita dal progresso delle economie asiatiche (discorso a parte merita la Cina, alle prese con la delicata situazione dello shadow banking) toccherà un massimo storico tra il secondo e il terzo trimestre e poi inizierà molto dolcemente a declinare e che la crescita sarà ancora buona nel 2018, ma probabilmente meno brillante nel 2019. Sappiamo che la Fed alzerà i tassi almeno tre volte e che la Bce li alzerà a metà 2019, che la curva europea si farà più ripida e quella americana più piatta, senza che questo conduca per forza alla recessione. Sulle borse sappiamo che gli utili saliranno ancora parecchio negli Stati Uniti (se ci sarà la riforma fiscale, ormai in dirittura d’arrivo) e non molto in Europa, almeno se continuerà l’ascesa dell’euro.



Tutto questo, naturalmente, al netto della politica che senz’altro regalerà grandi emozioni in Italia così come in Spagna, in Germania e probabilmente nel Regno Unito, alla vigilia di far partire (finalmente) la Brexit. La vera domanda è se il miglioramento della situazione generale riuscirà o meno a contenere l’avanzata del populismo. Forse sì, nel lungo termine. Purché nessuno pensi di poter tornare ai rituali e alle rendite di posizione del passato come già si intuisce dalle tante proposte in circolazione.

Eppure, anche in condizioni macro positive se non ottimali, una cosa è certa: se non si riduce il costo del lavoro in modo drastico e per tutti (preservando il netto in busta paga), l’unico esito possibile è la persistenza e l’ampliamento dell’area del nero e la proliferazione di misure raffazzonate e parziali. L’alternativa, l’unica che può consolidare nel tempo la fiducia, ancora fragilissima, delle famiglie, passa dalla concentrazione delle non eccezionali capacità di spesa del Paese a sostegno della competitività del Paese. Tra tante statistiche che migliorano non figura, ahimè, quella sulla produttività in cui l’Italia è il fanalino di coda dell’Ue.