Per quanto depressa e umiliata dalle leggi elettorali, l’Italia è ancora una Repubblica parlamentare. Totalmente e pienamente. Sciocca qualunque riga spesa a commentare che Renzi è stato eletto Presidente senza passare per un voto popolare. Sciocca qualunque riserva su un Parlamento che fa una commissione di inchiesta sul sistema bancario. Piuttosto il non voler impegnare il prossimo Parlamento e affrettarsi a dichiararla chiusa con la legislatura, sembra confermare che il Parlamento è sostanzialmente inerme verso lo sciacallaggio, di provenienza di singoli, di partiti o pseudotali, che vogliono usare il tema per una lotta politica da Paese del quarto mondo. Senza progetto.
Quanto al merito di questo lavoro, il clamore dei casi deflagrati (Montepaschi con una precisa connotazione, tutti gli altri con un diverso profilo e con forti analogie fra loro) non deve distrarci da un punto fermo. Che il sistema bancario italiano non ha fatto operazioni di finanza spericolata, illusionismi, o favorito folli o avvoltoi. Ha prestato i soldi a un Paese che in buona parte, nella gran maggioranza dei casi, non li ha potuti ridare. Il risparmio tradito dei veneti (11 miliardi, dicasi 11 miliardi di euro di valore nominale delle azioni, bruciati), il fiume di soldi delle altre banche date al fondo Atlante per un tentativo disperato, un po’ (tanti) soldi pubblici (però non si deve dire) che in qualche modo sono stati e verranno messi… Tutto ruota attorno alla più antica e banale operazione di prestito di danaro raccolto, che non viene restituito. Dentro il Paese, per il Paese. Le sofferenze non le ha fatte la Nouy, né i fondi avvoltoi. Se usiamo questa chiave di lettura almeno si possono avviare i cantieri.
Al supremo primo posto, si tratterà di capire se il Paese vuole provare a salvare se stesso. Taglio della spesa pubblica improduttiva, giustizia, lavoro, produttività, welfare e redistribuzione… Urgente. Urgentissimo. Esiziale. Senza questo cantiere i numeri parlano chiaro, tanto vale iniziare a programmare e gestire l’eutanasia delle prossime banche in lista. Senza questo cantiere dobbiamo iniziare a usare (più o meno coattivamente) i 3.100 miliardi di ricchezza finanziaria privata e i circa 8.000 (ma questo è un valore molto più soggettivo, come quello delle opere di arte moderna) di ricchezza mobiliare e immobiliare. Perché in un Paese in cui il 51% del Pil (meno di 1.700 miliardi totali) è intermediato dallo Stato, uno Stato che ha 2.300 miliardi di debito, non si va da nessuna parte.
In subordine, se questo cantiere viene avviato, bisogna cominciare a porre domande a un sistema industriale. Care vecchie, amate banche: da Sondrio a Bari, siete uguali o diverse fra voi, nell’offerta di prodotti, servizi, costi? In che condizioni stanno le circa 299.000 persone che lavorano per voi? Ne conosciamo il livello di cultura finanziaria? Ci sono adeguati sistemi di garanzia, efficienti, rapidi, per reagire e impedire che scelte evidentemente avventate di manager sciagurati (o disonesti) riproducano tragedie in un campo così delicato come quello del credito e del risparmio? Perché nel 90% dei casi l’esame di una sofferenza evidenzia che era ampiamente prevedibile prima? Perché tutto quello che si sa fuori, non si sa in banca?
Il professor Guido Mantovani della Ca’ Foscari (Venezia) in un lungo studio comparato ha esaminato con il suo team i bilanci delle Pmi fra il 2007 e il 2015 scoprendo che su quattro pratiche di fido una è approvata con prospettiva di Npl, una è rigettata e sarebbe stato buon credito, due trascurano indizi seri di criticità. Gli affidamenti sono guidati molto più dal circolante che dall’analisi dei rischi. E se scoprissimo (ma è solo un’ipotesi da Tenente Colombo) che quei grandi manager anziché mascalzoni, anziché responsabili di crimini e tragedie private e nazionali, siano stati degli irresponsabili caproni ignoranti? E se per caso le nostre banche, in questo momento storico con quel che sta accadendo, siano un pochino troppo formate e informate su questo filone desolante, di inadeguatezza culturale e strutturale? Anche nel raccontare e riferire le caratteristiche delle loro difficoltà.
La Commissione Parlamentare di inchiesta si è insediata il giorno in cui la Chiesa ricorda San Vincenzo de’ Paoli, il Riformatore della Carità. Speriamo che chiuda i suoi lavori offrendo domande, le domande giuste. Puntando la luce dove serve. Sarebbe una testimonianza di grande carità, categoria che è anche l’ultima possibilità per il Paese, verso se stesso.