L’aumento esponenziale delle quotazioni dei “bitcoin” è uno degli argomenti del giorno per chi si occupa di mercati; nelle ultime settimane la fama dei bitcoin è uscita dai ristretti ambienti finanziari per arrivare al grande pubblico. Lo stesso percorso era toccato ad altre parole oggi finite nel dimenticatoio come spread, deficit, ecc. I bitcoin sono stati nel 2017 un posto eccezionale per mettere i propri soldi dato che a oggi il prezzo è aumentato di nove volte rispetto all’inizio dell’anno. Chi avesse messo 1000 euro in bitcoin il 2 gennaio oggi ne avrebbe 9000; praticamente l’affare della vita.



L’amministratore delegato di Jp Morgan a metà settembre bollava l’investimento come una “frode” che alla fine esploderà; da quelle dichiarazioni il prezzo è sostanzialmente raddoppiato. Da diversi mesi si leggono articoli che paragonano la parabola ascendente alle peggiori bolle della storia della finanza globale; da quella della new economy fino alla bolla dei tulipani in Olanda nel diciassettesimo secolo. Il paragone ha più di un fondamento, ma questo non ha impedito che i rialzi continuassero. È molto facile accorgersi di una bolla, ma è molto difficile capirne la durata o predirne la fine.



L’unica cosa che stona in tante analisi sulla bolla dei bitcoin è una certa sufficienza con cui i professionisti della finanza, dall’amministratore delegato di Jp Morgan che minaccia il licenziamento per chi li compra in giù, trattano la questione, come se la “bolla” non riguardasse il resto del mercato. Il mercato azionario americano sale senza discese da tempo immemorabile aggiornando massimi a ogni trimestre; un sacco di persone su questi rialzi hanno incassato bonus milionari sentendosi, probabilmente, anche particolarmente intelligenti. Ieri Goldman Sachs, rispettabilissima banca d’investimento, alzava il prezzo obiettivo di Amazon a 1450 dollari a “soli” 170 volte, etto più etto meno, gli utili 2018; anche la più infima e noiosa delle utility del Paese più scassato negli ultimi due anni ha raddoppiato il prezzo. È il frutto delle politiche espansive che le banche centrali hanno messo in atto per combattere la crisi del 2008 in poi e che non riescono ad abbandonare perché l’economia reale, in moltissimi Paesi, è molto più fragile di quanto dicano le statistiche e un sacco di giornali che le riportano senza chiedersi, davvero, come mai poi alle elezioni vinca Trump.



Una bolla che ha coinvolto azioni e obbligazioni di ogni ordine e grado, che ha pagato bonus milionari e fatto fare figure egregie anche a gestori mediocri o normali. Anche in questo caso, come per i bitcoin, l’opinione comune è che si stia assistendo a una bolla; e anche in questo caso il fatto di esserne dentro non ci aiuta a vederne la fine. Anche in questo caso, alla fine, nessuno vuole essere il primo a uscirne e la festa continua. Nessuno crede che le valutazioni di Tesla o di Snapchat che rispettabilissime case d’affari consigliano di comprare siano sensate in un mondo normale dove i tassi non sono ai minimi e dove c’è liquidità per tutti.

Possiamo continuare quindi a parlare dei bitcoin come una bolla pericolosa; ci mancherebbe. Oltretutto è con ogni probabilità quello che sta succedendo. Basta solo avere bene in mente il contesto in cui si è sviluppato questo fenomeno. Un contesto molto più ampio in cui sono dentro in tantissimi, dalle banche d’affari globali all’ultimo dei daily trader e in cui pochissimi possono permettersi un atteggiamento di sufficienza.