Si può anche disprezzare il personaggio o l’operato di Michele Emiliano, governatore della Puglia, ma questo coro unanime di critiche – dal governo del liberista Calenda al sindacato del barricadero Landini – contro la mossa del magistrato-presidente di ricorrere al Tar di Lecce sul via libera al piano per l’Ilva formulato dal colosso indiano Arcelor-Mittal non può che sconcertare. Deve sconcertare. In nessun momento in uno Stato di diritto si può considerare sbagliato, moralmente o politicamente, un gesto per sua natura legittimo come quello di ricorrere a un organismo giurisdizionale com’è un Tar.



Certo, sappiamo tutti che la giustizia amministrativa funziona poco e male: ma è quella che abbiamo e non per colpa di Emiliano, il quale va nella sede giuridica naturale per affermare ragioni che, dice lui (e non è né un pazzo né un bambino), attengono al suo mandato elettorale, al suo ruolo politico e in definitiva alla salute dei cittadini. La reazione delle varie parti in causa è ruvidamente polemica. In sostanza, una messa in mora del Tar affinché non accolga il ricorso e un biasimo senza appello contro Emiliano. Ma i veleni scaricati nei decenni dall’Ilva nell’ambiente, e le morti da essi causate a Taranto, non sono favole o fantasmi inventati dalla mente di qualche irresponsabile: sono fatti. 



Emiliano ritiene che il piano Mittal non sia sufficiente? Rivendica il diritto degli enti locali – che per esempio nel caso della Regione devono gestire le ricadute sanitarie dei fattori inquinanti? – a essere consultati al tavolo delle decisioni? Non glielo si può impedire. È qui che scatta questa specie di ricatto morale, l’accusa di irresponsabilità. Come se la “melina” fatta sull’Ilva dall’insieme dell’ordinamento italiano negli ultimi sei anni, dapprima con la mischia istituzionale tra poteri (quando Emiliano non essendo alla Regione non c’entrava nulla) e poi nelle varie fasi successive della vicenda, fino alla gara internazionale per la vendita, con il doppio ruolo dello Stato, arbitro e concorrente, attraverso la partecipazione della sua Cassa depositi e prestiti alla cordata che ha perso Acciaitalia, fosse tutta colpa dell’attuale governatore. Semmai, c’è da augurarsi che il Tar riesca a essere rapido nel decidere sulla sospensiva richiesta. Mentre si può affermare che l’intera procedura di vendita ha lasciato molto a desiderare sia nel metodo che nel merito.



L’amministrazione straordinaria iniziata a febbraio 2015, quasi tre anni fa, non ha certo fatto peggio dell’ultima fase della gestione privata; né è seriamente pensabile che un’ulteriore stop di 6 mesi – per ipotesi – abbia da solo il potere di scoraggiare il colosso indiano cui è stata aggiudicata l’azienda. Ma insomma: o accettiamo, sia pure con animo polemico, che perfino una decisione governativa su un affare da diecimila posti di lavoro possa essere sottoposta al filtro di un organismo giurisdizionale, oppure abroghiamo la giustizia amministrativa, o ancora denunciamo Emiliano per lite temeraria, come si farebbe con quei condòmini attaccabrighe che fanno causa contro il signore del piano di sopra perché innaffia le piane al mattino. Le ragioni non mancherebbero: “Emiliano è un populista, punta solo ai voti, vuol fare il Don Chisciotte”. Forse: peraltro, è anche un cittadino che si è rivolto a un Tar. Nel suo diritto.

È del resto tutta la vicenda Ilva a illuminare impietosamente un quadro nel quale i conflitti istituzionali sono stati scandalosi; e dall’atteggiamento più o meno forzatamente dilatorio dei governi Monti e Letta all’interventismo renziano che ne è seguito, dalle scorrerie giustizialiste all’incertezza degli enti locali ante-Emiliano, viene la tentazione a chiunque di mandare tutto a monte. Però i morti da inquinamento sono lì a reclamare giustizia; le capacità produttive dell’impianto sono lì da vedere; il diritto al lavoro è lì da difendere. E i diecimila dell’Ilva sono pur sempre un terzo dei dipendenti della Regione Siciliana, che ne ha il sestuplo della Regione Lombardia, e sono anche un terzo dei forestali calabresi, per dire che welfare assistenzialista s’è fatto e si fa, al Sud Italia in particolare, anche quando non c’è di mezzo alcuna prospettiva di redditività industriale, e che forse rinviare di ancora due mesi, dopo tanti anni di melina, non è così abominevole come viene presentato, soprattutto perché se un colosso globale come Arcelor-Mittal viene a investire a Taranto non è per filantropia, ma solo in quanto ha fatto bene i suoi calcoli ed è sicuro di poterci guadagnare, e anche molto. Non mollerà per un Tar. 

Dopo le vicende indo-italiane dei due Marò e degli elicotteri Agusta, in materia di certezza del diritto non dobbiamo avere troppi sensi di inferiorità nei confronti di quella cultura giuridica. 

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