Renato Brunetta, vice-presidente della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, ieri ha chiesto un crono-programma per le audizioni delle ultime settimane di lavoro, prima dello scioglimento delle Camere: «Il tempo stringe». Immediatamente, il presidente Pier Ferdinando Casini ha detto che martedì prossimo verranno decisi i nomi delle persone da sentire. Accidenti, fanno sul serio. Sarà davvero interessante leggere la relazione finale dell’organismo investigativo parlamentare, quando tutto attorno il sistema bancario europeo sarà in fiamme. Eh già, perché adesso a lanciare gli allarmi – quelli veri – sono i cosiddetti regolatori, non quelli come me.
«I debiti sovrani dell’eurozona sono oggi più sostenibili, ma una rinnovata instabilità politica potrebbe portare a maggiori premi di rischio sui titoli di Stato, potenzialmente innescando preoccupazioni circa la sostenibilità del debito in alcuni Paesi». E chi lo ha detto? L’avvertimento arriva dritto dritto dalla Banca centrale europea, la quale nella sua Financial Stability Review spiega sì che la ripresa economica in corso nell’eurozona sta rafforzando la stabilità finanziaria, ma mette in guardia dal fatto che «i mercati rimangono vulnerabili a improvvisi aumenti di volatilità». Di più, per la Bce «esistono ancora rischi per gli elevati livelli del debito delle imprese» e «la redditività delle banche nell’area dell’euro rimane a rischio a causa dell’eccesso di capacità, mancanza di diversificazione del reddito e inefficienza dei costi».
Poi, entreremo nel dettaglio: ora vi spiego con un grafico e quattro parole da dove partirà la nuova crisi, ovvero dall’obbligazionario ad alto rendimento, il quale la settimana scorsa a livello di fondi ed Etf statunitensi ha visto il terzo più grande outflow di capitali di sempre, oltre 4 miliardi di dollari. La gente – quella che opera professionalmente – sta letteralmente scappando a gambe levate dal comparto che fino a oggi, nonostante una compressione record degli yields a causa dei tassi negativi imposti dalle Banche centrali, garantiva ancora un margine minimo di rendimento. Ora, però, la tregua sulla curva si è rotta, così come l’incantesimo di un mondo a tassi bassissimi e denaro a costo zero perenne. E con il VIX, l’indice di volatilità, che come risposta all’ultimo test nordcoreano invece che schizzare in alto è calato di un altro 1,5%, siamo certi che l’irrazionalità sta andando verso lo zenit, preparando la strada alla correzione inevitabile.
E la Bce lo dice chiaro e tondo: «Segnali di un aumento della propensione al rischio nei mercati finanziari stanno diventando sempre più diffusi», commenta l’istituto di Francoforte nel suo report semestrale, a detta del quale «ci sono indicazioni riguardo al fatto che i mercati non stiano considerando che il sentiment del mercato possa cambiare rapidamente. I premi che gli operatori chiedono per asset più rischiosi sono rimasti bassi nel 2017, anche se diversi istituti delle economie avanzate abbiano iniziato a preparare i mercati per la ricalibrazione delle politiche monetarie». In conclusione, la Bce ha sottolineato altri potenziali rischi, come l’aumento dell’incertezza sul debito sovrano dei Paesi dell’Eurozona, il basso livello di profitti bancari e un improvviso contagio dato dall’aumento improvviso de premi sui mercati azionari e obbligazionari statunitensi.
E attenzione, perché nei Paesi seri dove le Banche centrali hanno ancora un senso anche nell’epoca della moneta unica, l’allarme è davvero di quelli seri. Sempre ieri, infatti, la Bundesbank ha invitato gli istituti di credito del Paese ad assicurarsi di essere pronti a uno scenario di incremento dei tassi. Nel report annuale sulla stabilità finanziaria, l’istituto guidato da Jens Weidmann ha sottolineato il rischio che gli investitori vengano colti di sorpresa da sviluppi inattesi, come appunto una variazione del costo del denaro, considerato il quadro positivo dell’economia e dei mercati finanziari. «In particolare le banche hanno bisogno di prepararsi in tempo al rialzo dei tassi d’interesse», ha dichiarato Andreas Dombret, membro del board della Bundesbank, responsabile della supervisione bancaria.
«C’è il pericolo che i bassi tassi d’interesse e le condizioni favorevoli dell’economia tedesca possano indurre gli attori di mercato a sottostimare i rischi», ha scritto la Bundesbank nel report sulla stabilità finanziaria, per la quale «i rischi sono cresciuti durante la prolungata fase di bassi tassi e riguardano soprattutto banche e assicurazioni. Il settore bancario è forte e in grado di fronteggiare i rischi, ma il livello dei tassi minaccia la redditività di lungo termine, spingendo ad assumere rischi maggiori per ottenere in futuro ritorni più significativi». Inoltre, «molte banche tedesche stanno riportando profitti limitati e questo potrebbe incentivarle a correre maggiori rischi», ha aggiunto Dombret, mentre Claudia Buch, vice presidente dell’Istituto centrale tedesco, ha parlato di «rischi derivanti dalle rivalutazioni, variazioni dei tassi d’interesse e perdite sui crediti che possono verificarsi simultaneamente e rafforzarsi a vicenda».
E lo screening di rischio appare ad ampio spettro, visto che la Banca centrale tedesca sta anche monitorando costantemente il mercato immobiliare tedesco che conta la metà dei prestiti degli istituti al settore privato. I prezzi delle case tedesche sono aumentati rapidamente negli ultimi anni e la Bundesbank stima che nelle città potrebbero salire ulteriormente del 15-30%. Tuttavia, l’Istituto tedesco ha avvertito che altri indicatori dei rischi connessi al comparto immobiliare, come la crescita del credito e gli standard sui prestiti bancari, attualmente non sembrano preoccupanti: «Nel complesso, i rischi derivanti dal finanziamento degli immobili residenziali sembrano limitati», hanno concluso alla Bundesbank. Sembrano, non sono: differenza sostanziale.
Ma dalla Bce ieri è arrivato anche altro, paradossalmente di positivo ma con un rischio connesso che per l’Italia potrebbe rivelarsi mortale. Di fatto contraddicendo la sua rilevazione sull’ancora alto indebitamento del settore privato presente nell’Ue presente nella Financial Stability Review, per l’Eurotower migliora infatti la situazione finanziaria delle imprese nell’area euro. Le Pmi dell’eurozona che hanno registrato un aumento del fatturato, tra aprile e settembre del 2017, sono state infatti il 27%: nello stesso periodo dell’anno scorso il dato era al 19%. Di più, le piccole e medie imprese dell’eurozona, osserva ancora la Bce, continuano a indicare una migliorata disponibilità di credito da parte delle banche: lo segnala il 12% delle aziende considerate. Miglioramenti visibili anche nei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi: Spagna (23%), Portogallo (22%) e Irlanda (17%) presentano infatti le quote più alte di Pmi che indicano una maggiore disponibilità di prestiti bancari. Contemporaneamente, è diminuita la quota di Pmi che hanno chiesto un prestito bancario, il 27% dal precedente 32% e per il 43% di loro ciò è dovuto alla disponibilità di fondi sufficienti.
E chi garantisce quei fondi, quel canale di finanziamento alternativo non bancario a tasso zero? Gli acquisti obbligazionari corporate di quella stessa Bce che si contraddice sullo stato di salute delle Pmi e che avverte dei guai che sono ormai alle porte, sia per le banche che per le imprese. Sicuri che valga davvero la pena rodersi il fegato per il crono-programma delle audizioni dell’inutile Commissione d’inchiesta? E, domanda più seria: è accettabile il colpevole e rumorosissimo silenzio in tal senso di quell’ente inutile chiamato Bankitalia? Dopo aver salvato la ghirba, Ignazio Visco è tornato a dormire il sonno dei giusti?