È cominciata la grande fuga dalla realtà. Diventerà una corsa sempre più rapida, forsennata persino, a mano a mano che s’avvicinano le elezioni, ma le basi sono state gettate, lo dimostrano l’assalto parlamentare alla Legge di bilancio, il dibattito sulle banche e l’atteggiamento di sindacati e partiti sui punti di crisi, a cominciare dalle due rogne peggiori, l’Ilva e l’Alitalia. Cominciamo dalla finanziaria come si chiamava fino a poco fa.



La fuga più clamorosa riguarda le pensioni. Si è partiti dalla idea di far slittare a tempo indefinito la soglia di 67 anni per l’età pensionabile e si arriva a una girandola di eccezioni, passando per il rinvio di sei mesi (cioè a dopo le elezioni) dell’adeguamento automatico all’aspettativa di vita. Ma lo immaginate il nuovo parlamento che, come primo atto, decide di tornare indietro e rispristinare il meccanismo? Altro che sei mesi, lo slittamento diventa un precedente che apre la strada a una controriforma. Il costo complessivo sarebbe 140 miliardi, stima Tito Boeri, presidente dell’Inps. Benissimo, si può sempre tornare indietro e cambiare la legge, ma chi paga? Perché questa è la domanda che resta senza risposta; il libro di sogni della politica si chiude sempre con la stessa frase: pranzo gratis per tutti. E quel che accade alla Legge di bilancio lo dimostra.



Il disegno di legge era stato varato dal consiglio dei ministri come una manovrina            di ordinaria amministrazione. Niente tagli, tutt’al più qualche ritaglio. “L’importante è non fare danni”, aveva detto Gentiloni. Da quel momento alla presentazione in parlamento sono trascorsi 14 giorni, dal 16 al 30 ottobre, due settimane durante le quali sono stati introdotti bonus, detrazioni, deduzioni fiscali, misure in parte nuove, per lo più rifinanziate. Ma come per miracolo i saldi finanziari fondamentali sono rimasti pressoché immutati. Magia dei tecnici della ragioneria e del ministero? Molto si deve alle non specificate voci “riprogrammazioni” e “cancellazioni”, in altri termini minori spese e maggiori entrate che ammontano a 4,3 miliardi di euro e consentono di contenere il nuovo indebitamento netto sotto gli 11 miliardi.



Dunque, la legge arriva in parlamento già con una buona dose di opacità finanziaria. Non è difficile immaginare come ne uscirà il 15 dicembre. Per i 21 articoli della legge sono stati messi in pista in Senato oltre mille emendamenti, ha calcolato Il Sole 24 Ore e verranno vagliati a partire da mercoledì prossimo per essere poi votati una settimana dopo. Dopo l’uscita di Mdp-articolo 1 dal Pd, ci sono seri problemi di tenuta a cominciare dalla commissione bilancio: su 26 senatori che la compongono, infatti, ben 14 sono passati all’opposizione. Se Verdini appoggerà il governo come è già successo, la commissione sarà divisa esattamente in due, tredici contro tredici, e in Senato in caso di parità le proposte non risultano approvate. Un bel rompicapo, insomma. Probabilmente finirà con un maxiemendamento e il voto di fiducia.

Gli equilibrismi di bilancio e le incertezze parlamentari sono solo un aspetto (anche se il più eclatante) di questa fuga senza fine dalla realtà (e dalle responsabilità). Prendiamo le 150 crisi aziendali ancora aperte, molte delle quali pesano direttamente non solo sui dipendenti, ma su tutti i contribuenti. Il ministro dello sviluppo Calenda se la prende con i “populismi politici”. All’Alitalia, per esempio, “c’erano soldi privati e un piano che non prevedeva il famigerato spezzatino che tutti oggi vogliono evitare senza però riconoscere gli errori fatti”, dice il ministro. Ora è sceso in campo il fondo Cerberus che annuncia di voler acquistare tutta l’azienda, che comunque andrà ristrutturata. Quanto resisterà la sua offerta? Fino al prossimo sciopero dei sindacati?

Ancor più clamoroso è il caso dell’Ilva. “Abbiamo un investitore pronto a mettere 2,4 miliardi sul piano ambientale e industriale, più 1,8 miliardi per i creditori mentre un altro miliardo verrà speso dall’amministrazione straordinaria – spiega Calenda – Parliamo di 5,3 miliardi, il più grande investimento nel meridione da decenni. Davanti a tutto questo Comune e Regione hanno impugnato il Dpcm ambientale mettendo a rischio l’operazione. Siamo davanti davvero a una situazione unica al mondo”. Un paradosso che si spiega con la solita promessa di un pasto gratis alla quale non sfugge certo il mondo bancario.

Anche qui, si coltiva l’illusione che la nottata sia passata. Certo, le cose vanno meglio, solo un gufo cieco non lo vede. Ma attenzione, molti fattori di crisi non sono affatto rimossi. Per esempio i crediti deteriorati, una montagna se si prende il dato lordo (349 miliardi di euro, dei quali 215 relativi a debitori insolventi) e comunque molto elevati al netto delle coperture (173 miliardi dopo le svalutazioni mentre le sofferenze nette arrivano a 83 miliardi di euro). La Bce propone che vengano smaltiti rapidamente (tra i due e i sette anni), l’Assobancaria protesta, forse i limiti sono troppo stringenti e bisogna avere un approccio flessibile, ma il rischio è di procrastinare il più possibile, rinviando il risanamento dei bilanci bancari sine die.

Bisogna approfittare di una ripresa che sta andando meglio del previsto per fare le pulizie, sostiene la Bce. In Italia, invece, in troppi sono convinti che questo sia il momento buono per gettare la polvere sotto il tappeto. Tanto, prima o poi, paga Pantalone.