Com’era purtroppo prevedibile, la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche è subito diventata un reality paludoso. La cosiddetta “vita” sembra sempre “in diretta” ma nessuno fatica a riconoscere subito il talk-show: anche se al centro vi sono oggetti iper-reali e voluminosi come le perdite miliardarie di risparmiatori e contribuenti, le responsabilità dei banchieri, la conferma del governatore della Banca d’Italia o la successione al presidente della Consob, la stessa campagna elettorale. Di autentico, nello spettacolo, ci sono la bruttezza istituzionale e la violenza inedita di qualche scena. Di fittizio resta l’attesa che il massimo luogo di auto-esame di un Paese su una sua grave crisi possa produrre qualche esito: qualche “verità”, qualche analisi politica condivisa, qualche punto fermo da cui far ripartire il sistema-Paese in campo creditizio.
Per ora – e senza troppe speranze in vista del loro proseiguo – i lavori della commissione Casini restano un’arena di scontro politico tout court. Nessuno fra gli ultimi episodi è riuscito a sottrarsi al grigio-ombra: neppure la premura con cui i presidenti dei due rami del Parlamento hanno fatto sapere che la commissione si scioglierà assieme alle camere, prevedibilmente fra un paio di mesi. Valutazione ai limiti dell’ovvietà costituzionale: ma perché Laura Boldrini e Piero Grasso – quest’ultimo neo-fuoriuscito dal Pd e probabile candidato premier di Mdp – si affrettano già oggi a esprimere una valutazione assai più politica di quanto sembri? Anzitutto: un conto è affermare un termine per la commissione, la sua composizione e l’organizzazione dei suoi lavori; altro conto è lasciar intendere che la motivazione politica che ha spinto il Parlamento a istituire la commissione si estinguerà con essa.
Nel frattempo – e non sorprendentemente – i lavori della commissione vengono calamitati dell’agenda-nomine corrente del governo ormai uscente. Da un lato non cessa la pressione a indebolire su Visco, appena confermato in Bankitalia. Dall’altro entro il 15 dicembre andrà avvicendato Giuseppe Vegas al vertice Consob. La stessa “mano invisibile” che ha chiamato a testimoniare in rapida successione quattro magistrati, sta ora “grigliando” in contemporanea Bankitalia e Consob: ma non i numeri uno, quanto per procura i due operativi (il capo della vigilanza di Via Nazionale, Carmelo Barbagallo e il direttore generale dell’authority di Borsa, Angelo Apponi). I quali “narrano” naturalmente in modo diverso le vicende dei crack delle Popolari venete (e il presidente Casini lo certifica, prima di consultarsi con il leader Pd Matteo Renzi, in un contestatissimo incontro a porte chiuse).
Le tifoserie sono ampie e agguerrite: fra i commissari l’ex sottosegretario centrista Enrico Zanetti fa rima con il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, sparano contro Bankitalia. In tribuna stampa il Corriere della Sera si affanna a dire che la “culpa in vigilando” è stata tutta della Consob. Il populismo anti-bancario di M5s incappa intanto in un altro incidente di percorso: il fratello del commissario Alessio Villarosa, Massimiliano, è stato coinvolto in un crack finito anni fa nel setaccio di Bankitalia. E come se non bastasse, a Siena ribollono i veleni attorno alla morte dell’ex capo della comunicazione di Mps David Rossi: che sembrano sgorgare quasi vent’anni fa, quando Mps acquistò la Banca Agricola Mantovana. L’atto di nascita della “razza padana” e dell’Opa Telecom patrocinata dai Ds di Massimo D’Alema.