Ennesima strage di civili negli Usa, ennesime domande retoriche. E al centro, la solita polemica: la troppa facilità nell’acquisto di armi. Peccato che la gente non vada a vedere i numeri, visto che percentualmente in Svizzera circolano più armi che negli Stati Uniti ma non si abbia notizia di stragi ogni fine settimana. Quindi, vi chiedo: il problema non saranno gli americani? Perché è troppo facile attaccarsi alla pistola o al fucile che puoi comprare come fossero una bicicletta, nonostante il paradosso di un’ossessione formale per la sicurezza post-11 settembre. Certo, se hai un’arma, prima o poi magari la usi, ma c’è differenza fra tenere una pistola in casa per difesa personale – come fanno in Svizzera, Paese dove grazie al servizio militare pressoché permanente, grazie ai richiami alla leva la gente sa cosa farci con un’arma da fuoco – e il culto del Far West che hanno negli Usa, degenerazione che vediamo spesso e volentieri colpire anche le forze dell’ordine, eccessivamente dal grilletto facile.
Donald Trump, dal Giappone, non si è limitato a esprimere la sua vicinanza alle famiglie delle vittime della chiesa di Sutherland Springs, ma ha voluto ribadire questo concetto, ovviamente a suo favore e a favore della Nra, la lobby dei costruttori di armi che lo ha profumatamente finanziato in campagna elettorale: «Il problema non sono le armi, chi ha perpetrato la strage era uno squilibrato». E ha ragione, inutile accampare scuse tutte ideologiche o falsamente pacifiste. Peccato che il Presidente Usa abbia dimenticato di mettere in prospettiva la questione, perché citando la parola “squilibrato” è andato a mettere in campo un qualcosa che sta dilatando ulteriormente la questione relativa alla violenza nel Usa e, con essa, alle tragedie come quelle di domenica. Dell’assalitore sappiamo che era un ex membro dell’aviazione cacciato con disonore per aver picchiato moglie e figlio, quindi un soggetto violento. Spifferi tutti da confermare dicono poi che recentemente si sarebbe avvicinato al movimento “Anti-fa” e che millantasse proclami relativi alla necessità di una guerra civile negli Usa. Comunque sia, non era normale.
E qui casca l’asino, perché Trump fa bene a difendere il Secondo Emendamento, ma poi deve spiegarci perché il 26 ottobre scorso, firmando un memorandum presidenziale, ha dichiarato la crisi degli oppioidi una “emergenza sanitaria pubblica”, ma non un’emergenza nazionale, come aveva suggerito proprio una Commissione ad hoc da lui creata. E come lui stesso si era impegnato a fare lo scorso agosto, quando aveva promesso che la sua amministrazione avrebbe speso «un sacco di tempo, di sforzi e di soldi per affrontare questo problema». E la questione non è affatto solo teorica. La differenza riguarda infatti i fondi a disposizione per combattere la piaga dell’abuso di farmaci anti-dolorifici a base di oppiacei e delle cosiddette droghe di strada, come l’eroina, tornata a inquietanti livelli di diffusione, come ci mostra questo grafico.
Nel primo caso sarà utilizzabile un fondo che ha solo 57mila dollari, anche se l’amministrazione si impegna a lavorare col Congresso per stanziare altri soldi, mentre nel secondo sarebbe stato accessibile il ben più ricco fondo per i disastri naturali, anche se prosciugato recentemente dagli uragani che si sono abbattuti sugli Usa. L’ultima volta che fu dichiarata un’emergenza sanitaria pubblica risale al 2009, contro l’influenza H1N1 e, stando alla Casa Bianca, proprio per questo non è appropriato dichiarare emergenza nazionale una crisi che dura da anni: peccato che gli operatori del settore siano concordi nel dichiarare che l’efficacia della lotta dipenderà proprio dai fondi a disposizione. La mossa del tycoon, stando ai suoi detrattori, solleva dubbi sulla reale volontà di combattere il fenomeno, nel quale sono in gioco enormi interessi economici da parte di Big Pharma: dubbi aumentati dalla sua designazione come “zar” dell’agenzia dei farmaci del deputato Tom Marino, costretto nei giorni scorsi a ritirare il suo nome dopo che alcuni media Usa avevano rivelato il suo sostegno a una legge dettata dalle aziende farmaceutiche per frenare gli sforzi federali contro l’abuso di oppioidi.
Anche perché parliamo di una vera e propria piaga, la più grande crisi sanitaria dell’America dalla diffusione dell’Aids negli anni Ottanta: dal 1999, il numero delle vittime è quadruplicato, raggiungendo le 33mila nel 2015, stando alle autorità Usa. Oggi per ogni milione di americani sono assunte ogni giorno quasi 50mila dosi di oppioidi, quattro volte il tasso della Gran Bretagna e l’abuso di oppiacei causa 140 morti al giorno, ossia oltre 50mila l’anno: una cifra che, tenendo conto del passato e delle proiezioni future, è di gran lunga superiore a quella di varie guerre sostenute dagli Usa negli ultimi decenni. Gli esperti stimano che gli oppiacei potrebbero uccidere 500mila americani nel prossimo decennio, visto che i nuovi anti-dolorifici sono entrati a partire dagli anni Novanta nella cultura e nella vita quotidiana degli americani, i quali li utilizzano come caramelle, non rendendosi conto né dell’alto tasso di dipendenza che creano, né degli effetti collaterali. E il business è enorme, come grandissime sono le pressioni (e i regali) delle cause farmaceutiche ai medici: oltre 8 miliardi nel 2016, con oltre 630mila dottori coinvolti.
La pubblicità martellante in tv (Usa e Nuova Zelanda sono i due unici Paesi a consentirla) gioca poi certamente un altro ruolo centrale, così come il sistema sanitario Usa, dove non tutti dispongono di un’assicurazione sanitaria e non sempre terapie alternative agli anti-dolorifici a base di oppiodi vengono coperte. Insomma, da un lato ci sarebbe la cattiva coscienza di Trump relativamente alla battaglia in atto su Obamacare, ovvero proprio il sistema di maggiore tutela sanitaria voluto dal suo predecessore che le case farmaceutiche avversano e che sta già oggi portando a un aumento insostenibile dei premi sanitari per i cittadini (ma, contestualmente, a un continuo effetto moltiplicatore sul Pil, grazie alle spese fisse e obbligatorie in sanità) e dall’altro, quanto rappresentato nel grafico qui sotto: la strana e innegabile correlazione fra presenza militare statunitense in Afghanistan post-11 settembre e utilizzo di anti-dolorifici a base di oppiodi ed eroina negli Stati Uniti.
Solo un caso che il primo produttore al mondo di oppio, dopo il crollo a quota zero sotto il regime dei Talebani, veda i suoi fiori rossi gonfiare il Pil e, contestualmente, gli Stati Uniti – principale forza di occupazione/stabilizzazione – ripiombare in un clima di degrado sociale legato a quelle sostanze come non si vedeva dagli anni Ottanta? Non ci sarà una diretta correlazione? E non ci sarà anche una diretta correlazione fra crisi economica post-2007 e aumento di sostanze che “aiutano” a gestire ansia, timore e problemi economico/sociali? Non sarà che una società “drogata” fa comodo, a livello di controllo delle reazioni ai mutamenti sempre più negativi del trend economico? Non sarà che se sei pieno di quella roba magari ti viene più facile prendere un fucile e fare una strage? Certo, è più facile maledire il Secondo Emendamento e le pistole in libera vendita, ma non è più grave uno Stato che quelle armi le mette in mano a gente che prima ha riempito di oppio, sotto varie forme, per controllarlo socialmente, prima che magari si renda conto che a lui hanno pignorato la casa, mentre bonus e dividendi a Wall Street vanno a gonfie vele?
Ha funzionato con la guerra in Vietnam, potrebbe funzionare anche con la Terza guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo. Ogni giorno di più.