Anche simboli hanno la loro importanza. E le dimissioni di Fabrizio Palenzona dal consiglio d’amministrazione di Unicredit sono un simbolo positivo che, in queste giornate convulse di nuove polemiche sul futuro delle banche, non va sottovalutato. Chiariamo, Palenzona non è il diavolo, è un uomo intelligentissimo e abile, che rappresenta tuttavia esattamente quell’approccio, quella filosofia consociativa e mediazionista, imperniata sulle relazioni e non sul rigore, che ha fatto sì che oggi sui 1000 miliardi di crediti in sofferenza o incagliati, che appesantiscono le casse delle banche europee, 400 siano in Italia. 



Ed è delizioso leggere il minuetto di battute tra le note ufficiali del vertice sulla sua uscita e la replica dell’interessato: la banca lo ha ringraziato “per il contributo fornito ed il pieno supporto dato al processo di revisione della governance della banca” , e lui ha risposto che dopo “la sostanziale definizione del cantiere della corporate governance, ritengo che la mia esperienza in UniCredit sia giunta alla sua naturale conclusione”. In sostanza, il contributo di Palenzona al rinnovamento della governance di Unicredit è stato quello di andarsene.



Un simbolo positivo tira l’altro. È un bene infatti che si sia delineato in modo molto netto lo scontro di competenze tra il Parlamento europeo e la Bce sulle nuove regole per lo smaltimento delle sofferenze bancarie, gli Npl (non profit loans). Si sa che la potente, e autoreferenziale (insomma: non prende ordini da nessuno) responsabile della vigilanza bancaria europea Daniele Nouy vuole imporre alle banche europee di alzare al 100% del loro valore gli accantonamenti in bilancio che gli istituti devono fare a fronte di un Npl e di imporre loro di farli entro due anni di vintage (ossia dopo due anni da quando un credito inizia ad essere collocato tra quelli deteriorati); e addirittura pretende che il valore di un Npl sia interamente coperto da accantonamenti, sia pure entro sette anni dall’inizio del parcheggio tra le sofferenze, anche quando è coperto da garanzie reali. 



Non è che siano regole assurde. In fondo, sette anni sono tanti perfino in Italia, per prendere atto che un debitore è moroso e considerare perso il suo credito: e quindi, in caso di prestito garantito, andare a intascare la garanzia. Quel che però preoccupa, giustamente, il Parlamento europeo è la pretesa della Nouy di dettare norme di palese contenuto politico: detto e condiviso, cioè, che gli Npl vanno trattati con rigore nei bilanci, e che non si deve più permettere che le banche li lascino decomporre, i tempi e modi di declinazione concreta di questo rigore non possono essere lasciati nelle mani di un organismo meramente tecnico e politicamente irresponsabile come la Vigilanza Bce, le cui determinazioni hanno però clamorosi effetti politici!

L’incertezza in cui il sistema bancario si ritrova, invece, a navigare a causa di questa impostazione è grave e nociva. Ogni volta che parla la Nouy le banche in Borsa fremono come canne al vento. Se davvero entro il 2018 fossero costrette a immobilizzare nuove, larghissime fette dei loro patrimoni solo per coprire gli Npl e non per usarli finanziando l’economia reale, sarebbe un po’ come non averle. Sarebbe come imporre a un’automobile di considerare come intoccabile riserva di benzina il 90% del suo serbatoio: il raggio d’azione di quell’automobile si ridurrebbe clamorosamente fino a renderla di fatto inservibile.

Siamo entrati però in un mese cruciale, perché tra venti giorni, l’8 dicembre, si chiuderà la consultazione pubblica sul tema aperta dalla Bce: quindi c’è la sede e il tempo (poco) per piegare la linea della Nouy, che sta tirando la corda – e lo sa – forte di un’autonomia operativa che ormai tutte le istituzioni comunitarie si rammaricano di averle concesso. Il vero tema sugli Npl si sta confermando dunque quello che poi impronta a se stesso tutta la governance dell’economia europea: da una parte il rigorismo tedesco, dall’altra la flessibilità del Sud Europa. Infatti, sulla linea dura della Nouy il Parlamento, presieduto dall’italiano Tajani e presidiato da numerosi partiti che riflettono le posizioni degli Stati del Sud, è critico, mentre dentro l’Eurogruppo, dove la Germania detta legge, nessuno salvo il nostro Pier Carlo Padoan, ha apertamente contrastato le posizioni della Nouy. 

E anche Mario Draghi, il presidente della Bce che pur non potendo dare ordini alla Nouy ha l’autorità morale per incidere, su questo fronte non la biasima: “Anche se i livelli degli Npl sono scesi, per le banche significative, da circa il 7,5% d’inizio 2015 al 5,5% di oggi”, ha detto, “il problema non è ancora risolto. Molte banche mancano ancora della capacità di assorbire grandi perdite poiché il rapporto fra sofferenze, capitale e accantonamenti resta elevato” aggiungendo, come in un sibilo: “Non c’è spazio per autocompiacersi”. Perché è questa la tendenza della politica: confondere un sintomo di guarigione con una guarigione piena e completa.

Dunque un mese di fuoco e di tensione per le banche italiane: logico che in Borsa siano e restino sull’ottovolante.