Della missione di Donald Trump in Giappone, prima tappa del lungo tour asiatico, resteranno impressi due elementi: la visita della moglie Melania in un negozio di perle, tipico elemento glamour che fa impazzire i media, e lo stralcio del Trattato di libero scambio transpacifico siglato da Obama: “Non è una buona idea e gli Stati Uniti continuano a non ricevere un equo trattamento negli scambi commerciali col Paese del Sol levante”, ha dichiarato, citando come sommo esempio il mercato dell’auto. A mio avviso, non è così. Sono altri due gli elementi qualificanti di quel soggiorno, se pur breve. 



Primo, Donald Trump in un colpo solo ha svelato al mondo come lo spauracchio nucleare della Nord Corea sia in effetti solo un alibi strategico. Secondo, sono ben altri i piani che bollono in pentola. Nel miglior spirito da piazzista, infatti, il presidente Usa ha indossato i panni del commesso viaggiatore per conto del complesso bellico-industriale del suo Paese e si è rivolto in questi termini al neo-rieletto premier nipponico, Shinzo Abe, nel corso del ricevimento ufficiale: “Abe abbatterà e spazzerà via al cielo i missili nordcoreani, quando avrà completato l’acquisto di molto più equipaggiamento militare addizionale dagli Stati Uniti. Il premier, infatti, sta per comprare un enorme quantitativo di equipaggiamento militare e posso garantire che gli offriremo il meglio che abbiamo mai prodotto finora”. Alla Lockheed Martin hanno stappato champagne. Tanto più che un palesemente intimidito Abe si è limitato a rispondere quanto segue ai cronisti: “Abbatterò quei missili, se necessario”. Avendo bisogno di warfare per gonfiare il Pil e mascherare i fallimenti della sua Abenomics, ha dovuto fare di necessità, virtù. 



Ed ecco, invece, il segnale che il pericolo vero sta altrove e non nella penisola coreana: Donald Trump sposa in pieno e benedice la cosiddetta “Mani pulite” saudita voluta dal principe bin Salman e sostanziatasi nei giorni scorsi in arresti di massa di principi e dignitari del Regno, 1200 conti correnti congelati e almeno un paio di morti sospette. Ecco le sue parole: “Ho grande fiducia in loro, sanno esattamente quello che stanno facendo… alcuni di quelli che stanno per essere trattati duramente, hanno sfruttato il loro Paese per anni”. Insomma, chi temeva una Ryad che stesse per imboccare la strada filo-russa di Ankara dopo la visita di Vladimir Putin resterà deluso. Sempre che le purghe di bin Salman ottengano fino in fondo il risultato sperato. 



Al riguardo, però, sarebbe interessante sapere se, quando dice che a Ryad sanno quello che stanno facendo, Donald Trump si riferisse anche alle parole pronunciate ad Al-Arabiya e riportate in Occidente dalla Reuters ieri sera dal ministro saudita per gli Affari del Golfo, Thamer al-Sabhan: “All’ex premier libanese Saad Hariri è stato detto che gli atti di aggressione di Hezbollah sono considerati altrettante dichiarazioni di guerra contro l’Arabia Saudita da parte del Libano e del Partito libanese del diavolo”. Insomma, il Libano è ufficialmente la nuova proxy war fra Hezbollah e Israele? Pare ogni giorno più il caso, tanto che molti analisti cominciano a ripensare in maniera differente alla visita segreta compiuta a inizio settembre proprio da bin Salman in Israele, visto che non solo Ryad non riconosce lo Stato ebraico, ma anche che i due Paesi non hanno relazioni in via ufficiale. Era il 6 settembre, quando la radio di Stato, Kol Yisrael, dava la seguente notizia: “Un emiro della Corte reale saudita ha visitato segretamente il nostro Paese negli scorsi giorni e ha discusso con funzionari senior del governo riguardo l’idea di un avanzamento del processo di pace regionale. Sia il primo ministro che il ministro degli Esteri si sono rifiutati di commentare la notizia”. 

Non ci volle molto, però, perché arrivasse la conferma della visita e anche l’identità del visitatore: era l’allora ministro della Difesa saudita, Mohammad bin Salman. Insomma, due mesi fa l’uomo che sta incarcerando mezza Arabia Saudita – l’altra sta morendo in misteriosi incidenti – per spalancarsi le porte del trono con la benedizione Usa, era in Israele a discutere di “pace regionale”. Di fatto, la conferma della bontà del proverbio, “si vis pacem, para bellum”, viste le parole del ministro per gli Affari del Golfo di Ryad. E che una connection israelo-saudita per eliminare una volta per tutte Hezbollah dal Libano come dalla Siria, di fatto colpendo al cuore Teheran e le sue mire espansionistiche nel mondo arabo, sia in atto, lo confermano le parole – anzi, i tweets, ormai è la moda – del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, casualmente riportate per prime da “The Times of Israel”. Una chiara e netta presa di posizione contro l’Arabia Saudita, che provoca e destabilizza, salvo poi incolpare l’Iran e contro il genero di Donald Trump, quel Jared Kushner, inserito dal presidente nel Gabinetto di comando della Casa Bianca proprio con delega ai rapporti con Israele e il Medio Oriente. 

Sarebbe lui, di fatto, il trait d’union fra Tel Aviv e Ryad in chiave anti-Hezbollah: qualcuno nel Deep State, fiutando l’azzardo enorme che si stava compiendo, ha provato a tagliargli politicamente le gambe, tirandolo in mezzo al Russiagate ma fallendo miseramente? Pare di sì, perché l’accusa iraniana è diretta, con nome e cognome. E l’altrettanto netto dissidio fra Trump e il generale Mattis sull’accordo nucleare iraniano parla la lingua di una spaccatura chiara sul tema: spaccatura di famiglia, in questo caso. E, guarda caso, poco dopo che l’Iran aveva smentito ufficialmente attraverso il suo ambasciatore all’Onu, Gholamali Khoshroo, la fornitura di missili ai ribelli Houthi yemeniti con cui sarebbe stato colpito la scorsa settimana l’aeroporto di Ryad, non solo gli stessi hanno rivendicato l’azione, ma l’ambasciatrice Usa sempre alle Nazioni Unite, il falco Nikki Haley, ha parlato di un ‘arma con chiara origine iraniana, «visto che prima d’ora non si era mai presentato un missile balistico nel contesto yemenita». Come dire, per gli Usa è in atto un’escalation e chi la sta muovendo è Teheran. 

Ora, siamo di nuovo di fronte all’ennesima manipolazione mediatica tramite conflitto proxy o questa volta il rischio che la situazione sfugga di mano è reale? Tutto depone a favore della seconda ipotesi. Tutto tranne quanto rappresentato dai grafici più in basso: se infatti siamo quasi alle soglie di un conflitto senza precedenti, appare normale che il credit default swap a 5 anni saudita sia esploso, ma altresì appare decisamente inusuale che il mercato azionario festeggi come fosse Capodanno, oltretutto trascinato dai titoli bancari, i quali dovrebbero essere i primi a patire, con il rischio di svalutazione della moneta saudita sempre più probabile e 1200 conti correnti miliardari congelati! Qualcuno sta giocando con la cassaforte petrolifera del Golfo, oltretutto alla vigilia della riunione dell’Opec, casualmente? Qualcuno sa che l’affaire libanese altro non è che una battaglia per petrolio e gas, questa volta davvero in grande stile, altro che sanzioni al Qatar? 

È un mondo sempre più complicato e pericoloso, ogni giorno di più. E che dire del fatto che nello scandalo delle molestie sessuali legate al produttore hollywoodiano, Harvey Weinstein, molto attivo e stimato nella comunità ebraica statunitense prima di precipitare nel fango, martedì siano casualmente saltate fuori alcune ex-spie del Mossad, il cui compito era quello di evitare che le presunte vittime andassero a denunciare? Non sarà un segnale interno alla lobby ebraica statunitense, quantomai spaccata in due rispetto alla linea politica di Benjamin Netanyahu riguardo la politica mediorientale e il ruolo iraniano nel mondo arabo? E, per finire, coincidenza nelle coincidenze, da lunedì la base aeronautica militare israeliana di Uvda è teatro delle esercitazioni aeree denominate Blue Flag 2017, le più grandi di sempre e anche fra le più lunghe, visto che dureranno in totale 11 giorni. Casualmente, lo stesso arco temporale dell’assenza di Trump dalla Casa Bianca per il tour asiatico. Oltre all’aeronautica militare israeliana, partecipano quelle di altre nove nazioni, fra cui Stati Uniti, Francia, India, Grecia, Polonia, Germania e Italia, impegnate in oltre 300 operazioni aeree “destinate alla simulazione di guerra reale”. 

Con la tipica excusatio non petita, l’aeronautica israeliana si è premurata di informare che le esercitazioni erano programmate da un anno, che “la gente non dovrebbe preoccuparsi per questo incremento dell’attività aerea”. Sicuri? Ma, soprattutto, con il mondo che sta per andare in fiamme e il nostro Paese che invia Tornado nelle aree più calde, a nessuno è venuto in mente di chiedere al governo – o, almeno, al ministro della Difesa – di riferire alle Camere su quanto stia accadendo e sul nostro, eventuale coinvolgimento nell’area in caso di escalation? Mi pare argomento minimamente più serio della vittoria di Nello Musumeci o della strategia grillina.