Devo dire che se fosse sceso sulla Terra ieri, il mitologico marziano di Ennio Flaiano sarebbe davvero rimasto basito. La Repubblica e La Stampa, due dei tre principali quotidiani italiani, su cosa aprivano la loro edizione? Il Def, forse? Il bonus bebè dimezzato? La tentazione di blitz sul biotestamento? La denatalità? I ricaschi dell’ultima pagliacciata nordcoreana? No, l’allarme fascismo, il tutto per 10 teste rasate che leggono un documento in un circolo pro-migranti di Como! Tu pensa che stupidi i neofascisti – quelli veri – degli anni Settanta: hanno quasi ingaggiato una guerra civile contro lo Stato, uccidendo e venendo uccisi, sparando e andando in galera, quando bastava infilarsi un bomber e dire due banalità sul mondialismo per riavere il regime al potere! Il tutto, a volto scoperto – pur essendo stranoti alla Digos – e filmando e postando il tutto su Internet, il massimo della clandestinità e dell’eversione! Poveracci, quanto è messa male la stampa (ideologica) italiana. Ma, al netto proprio dell’ideologia, occorre non farsi prendere in giro: chi dirige quei giornali sono persone intelligenti, gente che sa benissimo di aver dato risalto a una carnevalata risolvibile in mezz’ora da tre agenti di polizia. 



Però, c’è qualcosa di fondo che fa male ai riferimenti politici di quelle testate. Qualcosa che va prima criminalizzato, poi anestetizzato e infine rimosso. Ovvero, parte del contenuto di quel volantino. Per l’esattezza, i riferimenti a liberismo, turbocapitalismo e sfruttamento. È quello a far paura e dare fastidio, non le teste rasate, l’irruzione o la denuncia dell’invasione extracomunitaria che quei volontari favorirebbero con il loro operato. Il perché è presto detto: sono temi storici della sinistra storica, oggi finiti in mano alla destra. Estrema. Quasi sempre, extraparlamentare. E per scelta, perché il renzismo ha epurato quelle parole per sostituirle con altre: Jobs Act, flessibilità, produttività, alternanza scuola-lavoro e chi più ne ha più ne metta. Non a caso, domani la Cgil sarà in piazza e, con lei, i fuoriusciti a sinistra proprio del Pd, in testa quel Pier Luigi Bersani che per primo, su questi temi, denunciò la famosa “mucca in corridoio”, ovvero la destra che cannibalizza consensi “proletari” e popolari. E non stiamo parlando di cose astratte, di politica filosofeggiante. Lo sciopero dei lavoratori di Amazon per salario e condizioni di lavoro proprio nel giorno del Black Friday ne è stato l’esempio, come anche le proteste all’Ikea per i licenziamenti facili, a fronte di algoritmi che decidono i turni di lavoro. Un algoritmo: siamo arrivati a questo, in nome della presunta produttività. 



Bene, in un contesto simile, come avrei aperto il giornale di oggi, se fossi stato il direttore di Repubblica o Stampa? Semplice, con l’argomento che ho scelto per il mio articolo: ovvero, quanto riassunto in questi grafici. E di cosa si tratta? Dello studio pubblicato ieri dalla McKinsey & Co. dedicato all’impatto della robotica sul mondo del lavoro a livello globale: da qui al 2030 – ovvero dopodomani, parlando di dinamiche macro di questo impatto – saranno circa 800 milioni i lavoratori nel mondo che potrebbero perdere il loro lavoro, soppiantati e sostituiti da robotica e automazione. Macchine, per capirci. Parliamo di qualcosa come oltre un quinto dell’attuale forza lavoro mondiale. Puff, sparita nell’arco di dodici anni. E il report è di quelli seri, perché copre 46 nazioni e oltre 800 tipi di occupazione. 



 

E, anche in questo caso, non pensiate che si tratti di fantascienza e nemmeno di un domani molto prossimo. E già l’oggi. A Manhattan, un punto vendita della catena di fast food Shake Shack ha già sostituito tutti i cassieri “umani” con robot e lo stesso ha fatto una grande catena del real estate californiana, la quale ha sostituito gli agenti pagati a commissione con altrettanti robot. Ora, guardate ancora una volta il secondo grafico che ho pubblicato e poi comparatelo con quest’altro più sotto: cosa emerge, a colpo d’occhio, dal matching? Il fatto che le principali occupazioni della “grande ripresa economica” di Obama, ovvero camerieri e baristi, coincidano con quelle che maggiormente verranno sostituite da robot e automazione. Cosa pensate che accadrà nei prossimi anni, quando questo processo comincerà a entrare nel vivo con centinaia di migliaia di licenziamenti o trasformazione da full-time a part-time, negli Stati Uniti? La gente sarà felice di ritrovarsi disoccupata, visto che un robot non percepisce stipendio, non si ammala, non deve andare in bagno, non si lamenta e, al limite, chiede solo una revisione ogni tanto?

Guardate che non siamo in un film di fantascienza, siamo nella realtà: per raggiungere quei numeri nel 2030, vuol dire che il processo è già pronto. E quasi del tutto collaudato. Perché pensate che Amazon o Ikea spingano così tanto su produttività e calmieramento salariale? Perché stanno meramente facendo degli stress test per il lavoratore che verrà, il quale non avrà di fatto costo del lavoro accessorio: solo costi iniziali e di manutenzione. Punto. Altro che abbattimento del cuneo fiscale, qui si sta abbattendo la figura stessa del lavoratore. E la questione è talmente urgente e seria che la stessa McKinsey sembra quasi essersi sentita in dovere di mettere in preventivo un possibile sviluppo più lento di quanto da lei previsto per questa dinamica, preventivando come scenario alternativo il fatto che circa 400 milioni di lavoratori avranno 13 anni a partire da oggi per trovarsi un’occupazione non a rischio immediato di robot o automazione! Ironico, ma da ridere non c’è davvero nulla, perché se il progresso non si può fermare, occorre anche rendersi conto che nemmeno la vita umana può essere messa in stand-by. Così come le sue esigenze primarie legate all’occupazione: famiglia, casa, mangiare, dormire, ogni tanto andare in vacanza. Di fatto, vivere. Una vita che, però, non è quella di un robot. 

E al netto di questo, cosa hanno festeggiato con entusiasmo degno di miglior causa i membri del governo, ieri? Il fatto che a ottobre il tasso di disoccupazione si sia attestato all’11,1%, invariato rispetto a settembre, stando a stime Istat. Di più, grande giubilo per il dato che sempre a ottobre vede il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli occupati e disoccupati, al 34,7%, in calo di 0,7 punti percentuali rispetto al mese precedente. Ecco il Paese in cui viviamo e la classe dirigente, politica e giornalistica, che meritiamo. Un tempo, almeno, la sinistra aveva dei riferimenti alti, per quanto si possa più o meno condividerne le idee. Primo fra tutti, John Maynard Keynes. E sapete cosa scrisse nel 1930? «Stiamo per essere colpiti da una nuova malattia, della quale molti lettori non avranno mai nemmeno letto il nome ma che diventerà un argomento enorme negli anni a venire. Letteralmente, possiamo chiamarla disoccupazione tecnologica». Oppure, restando più sul recente, ecco cosa scriveva Leontief nel 1952: «Il lavoro diventerà sempre meno importante… Sempre più lavoratori saranno rimpiazzati con macchinari. Non vedo come nuove industrie potranno assumere chi vuole un lavoro». Ma se preferite occuparvi di fascismo alle porte, fate pure. Così facendo, lo otterrete. Ma quello vero.