Da una parte ci sono i problemi, cui quasi sempre ci si riferisce come se fossero qualcosa con cui dobbiamo comunque convivere: la bassa crescita, l’alto debito pubblico, la disoccupazione in particolare giovanile, il basso tasso di innovazione di gran parte dell’industria. Dall’altra c’è un Paese che parla d’altro. Si fanno battaglie per evitare l’innalzamento di qualche mese dell’età di pensionamento, come se questo non fosse uno dei requisiti per mantenere sostenibile l’intero sistema previdenziale. Si bloccano le grandi città con lo sciopero dei tassisti per contestare una liberalizzazione che non c’è e che Governo e Parlamento (purtroppo) non hanno nessuna intenzione di proporre. Si discute di coalizioni, liste congiunte, alleanze elettorali, collegi e formule bizantine dimenticando che il vero problema è la sfiducia (e quindi l’astensione al voto) verso una classe politica ideologica e inconcludente.



Restiamo così aggrappati a un dibattito politico evanescente come una nuvola e inconsistente come le sabbie mobili. Con un obiettivo disarmante che accomuna l’opposizione di destra e di sinistra, quello di smontare le riforme che ha faticosamente portato avanti l’attuale Governo. Un malattia ormai rituale come quando il centrosinistra considerò un punto d’onore abolire la riforma la previdenza che aveva al suo centro quello che venne chiamato lo “scalone Maroni”. Ma l’innalzamento dell’età pensionabile voluto dall’allora ministro del Welfare di fede leghista viene ora contestato dalla stessa Lega che vuole rottamare una riforma simile, ma varata dagli avversari politici.



Inutile dire che questo teatrino della politica non può che lasciare sconcertati come sottolinea con grande efficacia Carlo Pelanda nel suo ultimo libro: “Strategia 2028” (Ed. Franco Angeli, pagg. 142, € 19). “Da un lato – scrive Pelanda – l’elevato attivismo economico della società italiana riesce a produrre ricchezza ‘nonostante’ il modello depressivo, conseguentemente oscurando l’urgenza di cambiarlo. Tanto, in qualche modo, l’Italia galleggia, si dice. Dall’altro, il fenomeno di una società attiva e produttiva, ma ingabbiata in un modello politico depressivo, tiene il sistema nazionale in stagnazione endemica da decenni, con una tendenza storica verso il declino”.



È un circolo vizioso quello in cui il Paese rischia sempre più di infilarsi. Con una tendenza negativa non solo sul fronte dell’economia, ma anche e soprattutto nella speranza collettiva, nella capacità di ricercare condizioni migliori, nella volontà di superare le difficoltà. “La popolazione – scrive Pelanda – non vede opportunità nel libero mercato, perché questo e` asfittico e distorto da regole sbagliate e pesi insostenibili. Pur vitale la cultura d’impresa in alcune aree della nazione, sempre piu` individui cercano certezze in occupazioni protette, privilegiando l’opportunismo pessimista sull’attivismo e sulla cultura ottimistica della presa di rischio nel mercato”. E ancora: “L’Italia che non funziona sta diseducando gli italiani. E questo è il più grave problema della sinistra: candidarsi a governare il processo capitalistico con una dottrina anti-capitalistica”.

C’è allora bisogno, sottolinea con forza Pelanda, di una strategia completamente nuova per tentare di risolvere i problemi non tanto con la bacchetta magica, ma con uno sforzo collettivo che potrebbe portare in dieci anni a una situazione di grandi opportunità. Ma sarebbe necessario uscire coraggiosamente dalla logica dello statalismo e delle rendite di posizione, ridare stabilità ed efficienza alla politica e alla Pubblica amministrazione, far leva sulla responsabilità e la partecipazione delle persone, sollecitare una grande alleanza delle democrazie per superare il modello burocratico dell’attuale Europa. Un programma altrettanto ambizioso quanto necessario. Che potrebbe almeno servire a scuotere una politica che stenta sempre di più a tenere i piedi nella realtà.