Dopo circa dieci come Primo Ministro del Lussemburgo, e due da Presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, attualmente Presidente della Commissione europea, rischia di non terminare bene la propria carriera politica. E, esattamente come nel teatro di prosa, nel teatro della politica quel che conta non è tanto come si è entra in scena o come si recita durante lo spettacolo, ma come si esce quando il sipario sta calando.
All’inizio del suo incarico alla Commissione, Juncker è entrato sul palcoscenico a gamba tesa, proponendo un piano (con il suo nome) per il rilancio dell’investimento pubblico e privato nell’Unione europea. Con una modesta leva finanziaria europea, si sarebbero attivati progetti finanziati da capitali pubblici (dei Governi nazionali) e privati. Gli esiti sono stati piuttosto modesti. Adesso, Juncker ha lanciato un piano ancora più ambizioso di riforma delle istituzioni comunitarie. Il piano ha meritato per un paio di giorni attenzione mediatica, ma già dal fine settimana quasi non se parla più.
Perché? Sotto la guisa di riformare alcuni aspetti della macchina comunitaria, è parso evidente che Juncker intendeva – come ho illustrato con maggior dettaglio altrove – principalmente dare di nuovo alla Commissione quella centralità che aveva nei primi quindici anni di vita di quella allora chiamata Comunità economica europea (Cee). Un centralità persasi sia a ragione dei successivi allargamenti (e della maggiore influenza quindi degli accordi inter-governativi), sia del maggior ruolo acquisito dal Parlamento europeo. Una centralità che non tornerà.
Ma andiamo ai principali aspetti economico-finanziari delle proposte. La prima riguarda la trasformazione dell’European stability mechanism (Esm, meglio conosciuto come Fondo salva-Stati) in un Fondo monetario europeo (Fme). Ho lavorato per 18 anni per la Banca Mondiale, istituzione sorella del Fondo monetario internazionale con cui si operava gomito a gomito. Ho serie difficoltà a vedere come un Fme possa operare all’interno di un’unione monetaria perché la finalità principe del Fmi è sempre stata quella di lavorare in un contesto di tassi di cambio gestiti collegialmente e moderatamente flessibili tramite interventi per tamponare crisi di breve periodo. In effetti, nonostante il nome roboante il Fme sarebbe solo, almeno per il momento, il backstop per il fondo unico di risoluzione bancaria. Tuttavia l’Esm è un sistema intergovernativo e alcune delle sue decisioni per statuto sono prese a maggioranza in base al numero di titoli detenuti dai vari soci. La proposta Juncker consiste nel trasformarlo in uno strumento comunitario, ma di far votare con la maggioranza dell’85% anche quelle scelte che oggi sono prese all’unanimità. Ne manteniamo capitale e governance, ha sintetizzato il commissario per gli Affari economici Pierre Moscovici, ma in effetti il Fme non solo avrebbe funzioni molto differenti da quelle del Fmi, ma la governance muterebbe in misura significativa: si darebbe potere di veto alla Germania (con il 27% del capitale), alla Francia (20%) e all’Italia (con quasi il 18%). Ovviamente, nel tempo le quote in capitale potrebbero cambiare.
Juncker ha poi proposto un ministro dell’Economia e delle Finanze europeo, che dovrebbe essere anche vicepresidente della Commissione, e presidente dell’Eurogruppo sul modello del ruolo dell’Alto rappresentante degli Affari esteri. Non solo non si sono ancora visti esiti concreti del lavoro dell’Alto rappresentante degli Affari esteri, ma la posizione, come presentata, sarebbe essenzialmente quella di un “controllore” dei bilanci degli Stati membri. Numerosi voci, inclusa quella del Presidente del Consiglio italiano, si sono levate contro questo nuovo “controllore”. La proposta sembra un diversivo rispetto al nodo più immediato: cosa fare del poco osservato Fiscal compact?
È un accordo intergovernativo, ma entro la fine dell’anno si dovrebbe decidere se farlo diventare parte dei Trattati Ue o, forse, abolirlo del tutto anche in quanto le stesse regole sono di fatto previste nei regolamenti six pack e two pack . Le proposte Juncker integrerebbero il Fiscal compact nel diritto Ue tramite una direttiva. Diminuendone così la portata.
Infine, l’unione bancaria, in stato di stallo. La proposta prevede una vera garanzia dei depositi – su cui gli Stati si erano accordati nel 2013 – solo quando sarà ridotto il bagaglio dei crediti deteriorati in pancia alle banche con l’esame degli asset di terzo livello, cioè la montagna di derivati e titoli illiquidi nei bilanci dei grandi istituti. In effetti, un ulteriore rinvio.
Pensaci, Jean-Claude, è meglio finire la carriera in punta di piedi che fare proposte irricevibili.