La fiducia degli investitori in Germania ha deluso le attese. A dicembre, l’indice Zew sul sentiment degli investitori tedeschi cala a 17,4 punti, a fronte dei 18,7 punti del mese scorso: il dato è inferiore ai 18 punti attesi dagli analisti e l’indicatore rimane quindi al di sotto della media di lungo termine di 23,7 punti. Tuttavia, la valutazione della situazione attuale in Germania guadagna 0,5 punti assestandosi a 89,3 punti: «Nel complesso, le prospettive per l’economia tedesca nei prossimi sei mesi rimangono positive», afferma Achim Wambach, presidente dell’istituto Zew, a detta del quale «l’attuale stato di incertezza che circonda la formazione del governo in Germania non ha avuto alcun impatto significativo sulla valutazione delle prospettive economiche».
Sarà vero? O, forse, questa discrasia fra dato attuale e outlook è proprio dovuta allo stallo nelle trattative fra Cdu di Angela Merkel e Spd di Martin Schulz nella ricerca di un accordo per una nuova Grosse Koalition? Verrebbe da pensare così. Il problema, più in generale, è che la Germania è sparita dal consesso politico europeo. Non un fiato sull’iniziativa di Trump riguardo Gerusalemme, nonostante la presenza del premier israeliano a Bruxelles e l’ennesima iniziativa solitaria in politica estera di Emmanuel Macron. Non una parola sullo scontro latente fra Bce e governi degli Stati cosiddetti Mediterranei sulla disciplina di bilancio degli Npl. Nessun commento, soprattutto, sullo spostamento in avanti della nuova contabilità delle obbligazioni sovrane negli Stati patrimoniali delle banche continentali, soprattutto alla luce del fatto che fu proprio Schaeuble, di concerto con la Bundesbank, a forzare la mano sull’eliminazione del concetto di risk-free per il debito pubblico.
Cosa sta succedendo al motore d’Europa? Pausa di riflessione? O qualcosa di peggio, ovvero la quasi certezza che qualcosa stia per accadere in seno all’Unione, tale da portare a una sua lenta disgregazione e riorganizzazione in ordine sparso e su base più nazionale? Ragionando in tal senso, vi invito sempre a ricordare come poche settimane fa la Bundesbank abbia confermato il rimpatrio di tutto l’oro tedesco stoccato all’estero, un anticipo di due anni rispetto al programma originario. Le ragioni? Quelle ufficiali parlano di necessità di controllo dell’origine dell’oro fisico, ma, al netto di un’Europa sempre più politicamente residuale, si pensa ad altro. Soprattutto con il Qe che ormai non potrà durare in eterno e con alcune criticità in seno all Bce, non ultime le liabilities insite nel programma di acquisto bond corporate di cui vi parlavo ieri, che stanno emergendo con sempre più forza: qualcuno a Berlino ha guardato due volte dentro le libialities tedesche in seno a Target2 e, al netto dell’aumento dell’esposizione italiana e spagnola, ha visto tremori sinistri di un altro 2011?
La scorsa settimana è arrivata un’indiretta conferma di questo. Natixis ha infatti intervistato i decision maker di 500 società di investimento istituzionali i quali, in totale, gestiscono oltre 19 triliardi di dollari per fondi pensione, governi, assicurazioni e altre istituzioni. L’indagine rivela che il 59% ritiene che la volatilità sia stata eliminata in modo artificiale dai flussi verso strategie di investimento passive. Oltre la metà (57%) crede che l’aumento degli investimenti passivi stia distorcendo il prezzo relativo dei titoli e stia creando rischi sistemici di mercato (63%) di cui, secondo il 72% degli intervistati, gli investitori individuali non sono consapevoli. Ancora, i tre quarti delle istituzioni (77%) ritengono che un periodo prolungato di bassi tassi di interesse abbia portato alla creazione di bolle. Inoltre, guardando in prospettiva, il 62% degli investitori istituzionali considera il rialzo dei tassi di interesse come la principale preoccupazione del 2018, potenzialmente in grado di innescare una correzione dei prezzi obbligazionari. In particolare, per posizionare i portafogli in vista della volatilità attesa a seguito dell’avvio da parte delle Banche centrali della graduale riduzione degli stimoli monetari in vigore a partire dall’inizio della crisi finanziaria, gli investitori istituzionali stanno incrementando le allocazioni su asset meno tradizionali, tra cui private equity, private debt, infrastrutture e real estate, in quanto cercano alternative alle obbligazioni e rendimenti più elevati in un mercato affollato.
«Gli investitori istituzionali a livello globale diffidano delle fragili condizioni di mercato, dai prezzi distorti degli asset e dai rischi sistemici causati dai movimenti delle banche centrali e dalla crescente popolarità degli investimenti passivi» – affermava intervistato da Cnbc, Antonio Bottillo, managing director di Natixis investment manager Italia – e continuano a rivolgersi alla gestione attiva per gestire i mercati attuali. Hanno fiducia nel fatto che i loro portafogli siano costruiti per resistere alle future condizioni del mercato, ma avvertono che gli investitori individuali non sono coscienti dei rischi sistemici del mercato derivanti dalle strategie passive». Gli investitori istituzionali, quindi, ritengono che il mercato obbligazionario sia l’asset class che più probabilmente incorrerà nel rischio bolla, con una percentuale pari al 42% a livello globale. Questo rappresenta quasi il doppio della percentuale di chi si attende una bolla del mercato immobiliare (23%) ed è addirittura paragonabile al 64% degli investitori che vede una bolla sul Bitcoin. E su quale montagna stanno sedute le Banche centrali, Bce in testa? Obbligazioni con rendimenti ridicoli garantiti unicamente dai tassi a zero e dagli acquisti di prima e ultima istanza, sul mercato primario e secondario. Una potenziale bomba a orologeria. Che la Bundesbank ha sempre denunciato: ma ora non più. Che stia lavorando da sola, a una silenziosa exit strategy? Che la situazione sia di tale pericolo potenziale da arrivare ad accettare anche il rischio di controparte su Target2, scelta estrema che spiegherebbe il rimpatrio dell’oro, di fatto una garanzia golden-backed per qualsiasi avversità, bolla Bitcoin inclusa, visto che metterebbe sul piatto del mercato nel panico totale il bene rifugio fisico per antonomasia contro un qualcosa di virtuale?
Io non mi sento affatto di escludere che la ritirata strategica di Berlino da un’eccessiva esposizione politico-finanziaria sia proprio legata alla simulazione forzata di un piano B per l’eurozona che non contempli la condivisione e la partecipazione degli altri Stati membri: sono troppe le voci anti-tedesche che stanno uscendo sui media europei, italiani in testa, senza che Berlino risponda. Guardate solo l’Italia, dove negli ultimi due giorni sono state attaccate nuovamente Deutsche Bank per il “golpe” del 2011 e addirittura il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, il quale avrebbe confessato che Draghi ha permesso ai tedeschi di fare soldi e comprare la casa con le sue scelte di politica economica. Ieri, poi, una riprova indiretta è giunta dalle audizioni della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, in particolare da quella del responsabile della vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo. Il quale, dopo aver dichiarato che l’azione di controllo di palazzo Koch sulle quattro banche salvate è stata «incalzante», ha sottolineato quanto segue: «Fu la Commissione europea a bloccare l’ipotesi di salvataggio delle 4 banche finite poi in risoluzione da parte del Fondo Interbancario di tutela dei depositi, perché considerato aiuto di Stato. Non ci si poteva ribellare alla decisione di Bruxelles e andare avanti, perché le 4 banche avrebbero dovuto sterilizzare contabilmente l’aiuto, i privati coinvolti non sarebbero intervenuti dato il rischio di revoca». Infine, la Bce, cui spetta autorizzare le acquisizioni, si sarebbe «allineata agli orientamenti della Commissione».
Insomma, un alto esponente di Bankitalia attacca l’Ue nel momento in cui la stessa, attraverso l’azione di Antonio Tajani, sta difendendo le banche italiane dall’eccessiva durezza nell’applicazione dell’addendum da parte della Bce, la quale viene invece quasi assolta? E la Germania non dice nulla al riguardo, perdendo l’occasione di bacchettare quelle cicale degli italiani? Qualcosa di serio sta montando in seno all’equilibrio economico europeo, talmente serio da spingere i tedeschi a una sorta di vere ritirata strategica e consegna del silenzio da ogni conflittualità troppo marcata. Manca molto alla riprova? No, basta aspettare il voto di primavera. E, magari, capire entro stasera cosa ha davvero in mente la Fed sui tassi. Io comincio a temere il botto disordinato, questa volta. Perché una Germania così fuori dai giochi non ha altra spiegazione.