Non c’è nulla di ufficiale, ma ormai la grande stampa e gli stessi leader politici danno per certa la data del 4 marzo per le elezioni politiche del 2018. Il Centro studi di Confindustria presenta intanto l’appuntamento elettorale come un bivio per il Paese, “una biforcazione tra il proseguire lungo il cammino delle riforme o non far nulla (che, in termini relativi, vuol dire arretrare), se non proprio tornare indietro”. Gli economisti di viale dell’Astronomia sottolineano anche come “l’instabilità politica e le misure demagogiche prese per motivi di consenso seminano una pianta i cui frutti maturano nel medio-lungo periodo, operando attraverso l’abbassamento del potenziale di crescita, anche per la mancata approvazione di quelle riforme che, al contrario, tale potenziale elevano”. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.
Professore, cosa ne pensa dell’ipotesi di andare a votare il 4 marzo, tenendo conto della probabile richiesta che arriverà da Bruxelles di una manovra correttiva in primavera?
Di fatto si lascia al nuovo Governo la patata bollente di un manovra pari allo 0,2-0,3% del Pil. Se in questi cinque anni si fosse rispettato un pochino di più il percorso di rientro del deficit, le cose sarebbero adesso migliori. Il problema ora è che noi rischiamo di non avere una discesa sufficiente del debito pubblico, quindi ci verrà chiesta una manovra correttiva più per il debito che per il deficit. A parziale compensazione ci potrebbe essere una maggior certezza per gli operatori economici. Ma è solo teorica, in quanto bisognerebbe avere la certezza di un futuro governo stabile.
Quindi, non solo il prossimo Governo potrebbe uscire dopo un lungo negoziato politico, ma si troverebbe subito con una manovra correttiva da fare…
L’attuale esecutivo in buona sostanza fa un brutto regalo di Natale a chi vincerà le elezioni e agli italiani, perché posporre la correzione dei conti pubblici è comodo, ma lascia una brutta eredità.
Una mossa che avrebbe senso se si pensasse di uscire sconfitti dalle urne…
Se uno è sicuro di vincere le elezioni non ricorre a questi trucchi, perché altrimenti rischia di trovarsi con dei problemi dopo. Se invece uno sa che le elezioni le perderà, se ne lava le mani.
Cosa pensa di quanto afferma il Centro studi di Confindustria?
Bisogna capirsi su quali siano queste riforme di cui si parla, perché quella del mercato del lavoro che è stata fatta non è la cosa migliore del mondo: ha irrigidito il mercato e non ha dato gli effetti desiderati. Correggendo Confindustria si potrebbe dire che il nuovo Governo avrà il problema di fare le grosse riforme che questo esecutivo non ha fatto. È abbastanza evidente che ci sono una serie di cose che si sarebbero dovute fare, ma non sono state fatte. Quindi andranno fatte.
Lei vede il rischio che vengano prese misure demagogiche dopo il voto?
Lo ritengo molto improbabile, perché l’Europa ci starà addosso e quindi chiunque abbia fatto le sue promesse eventualmente demagogiche si troverà il fiato sul collo della Commissione europea. E con la fine del Qe aumenteranno anche le pressioni dei mercati.
A proposito di Europa, il fatto di andare al voto così presto potrebbe aiutare l’Italia a farsi sentire rispetto al progetto di riforma dell’Eurozona?
Per discutere la riforma dell’Eurozona indubbiamente potremmo avere un vantaggio. Sempre che ci sia la possibilità di formare un esecutivo stabile in tempi ragionevoli.
Tornando alle promesse della campagna elettorale, secondo lei chi la sta sparando più grossa?
I 5 Stelle hanno progetti strani che non si capiscono bene, ma un po’ tutti hanno esagerato. Il problema è che spesso sia i progetti che vengono enunciati che le critiche a essi mosse sono vaghi e privi di numeri. Lo si vede anche nella discussione sulla flat tax. Io credo che sia possibile realizzarla in modo che non scenda il gettito e ho anche preparato un modello per realizzarla. Dunque chi la spara grossa è perché ha in mente delle politiche palesemente sbagliate o perché non ha fatto bene i conti.
(Lorenzo Torrisi)