Torrenti, fiumi d’acqua al mulino dei 5 Stelle (che poi non sono pronti a raccoglierla e trasformarla in forza motrice, ma questo è un problema loro); e straordinaria accelerazione di particelle maleodoranti marroni sulle istituzioni e sulla politica. Ecco il bel risultato che Matteo Renzi ha ottenuto, accecato dalla sua ormai proverbiale arroganza intellettuale, insistendo perché fosse avviata la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, che sta giorno dopo giorno, e pur nella sua totale inutilità giurisdizionale, illuminando un quadro sempre più squallido su quei mesi convulsi del 2014 in cui si decise la “risoluzione” di Banca Etruria. Un quadro squallido che si sta ripercuotendo negativamente sull’immagine di Renzi, dei renziani e del Pd.



Dalle cronache di ieri, il cittadino italiano apprende in sostanza che l’ex ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, numero due indiscussa del governo Renzi, figlia del vicepresidente di Banca Etruria ed essa stessa azionista dell’istituto, anziché occuparsi solo delle sue competenze specifiche già soverchianti – tanto più col senno di poi, visto l’esito penoso delle riforme! – svolgeva un’intensa attività di incontri informali per perorare la causa di un esito piuttosto che di un altro della vicenda Etruria.



Lo ha certificato – bisogna usare questo verbo, perché fino a ieri chi lo diceva poteva anche essere tacciato di fake-news dai renziani – il presidente della Consob, la commissione di controllo sulla Borsa, Giuseppe Vegas, dicendo che la ministra lo aveva voluto incontrare per parlare della banca.

Fermi tutti: prima di proseguire, chiediamoci se Vegas sia credibile. Per un verso no, per un altro sì. Non lo è del tutto, perché il presidente della Consob è un politico di centrodestra, ha lavorato prevalentemente nell’ambito della nomenclatura berlusconiana, e ha spesso polemizzato con Renzi. Ma lo è abbastanza perché non è rieleggibile alla Consob e non è candidabile alle prossime elezioni, quindi non ha niente da perdere né da guadagnare, dando spazio a un ricordo piuttosto che a un altro. Ognuno tragga le sue conclusioni, il testimone di diamante esiste solo nei film americani…



Detto questo, andiamo avanti. Nella sua testimonianza alla Commissione, Vegas ha svelato un concetto chiave, che come tale è stato sottovalutato da tutti, perché purtroppo così va il mondo dell’informazione, con poche lodevoli eccezioni. Per quale ragioni la Boschi era preoccupata del futuro di Banca Etruria? Perché – secondo Vegas – temeva che la possibile aggregazione tra la Banca Etruria e la Popolare di Vicenza avrebbe potuto nuocere all’industria orafa di Arezzo. Attenzione: questo è davvero un particolare-chiave perché spiega che l’apprensione della ministra – la quale ha confermato gli incontri con Vegas, poi vedremo come, e non ha smentito il particolare – era concentrata sul fatto che i banchieri vicentini, abituati a sostenere la loro industria orafa, potessero in qualche modo danneggiare i concorrenti aretini dei loro clienti.

Nessuno tra i grandi giornali ha evidenziato il peso di questo dettaglio, ma c’è: a quanto ha detto Vegas, la Boschi non temeva tanto, e per puro amore di campanile, che l’Etruria potesse perdere autonomia, ma aveva la specifica preoccupazione che una banca come la Vicentina, con in pancia tanti clienti orafi veneti, avrebbe potuto privilegiarli a discapito dei loro concorrenti di Arezzo, tutti clienti di Banca Etruria. Insomma, il dettaglio svelato da Vegas fa capire che la Boschi non stava tanto cercando di procurare vantaggi al padre – che sarebbe stato un conflitto di interessi familistico -, quanto che stava accudendo il suo collegio elettorale, come avrebbe fatto un qualunque deputato democristiano o socialdemocratico degli anni Settanta. Alla faccia delle riforme!

Nelle repliche, rabbiose quanto deboli nel merito, che la Boschi ha opposto, l’altro dettaglio eloquente, oro puro (è il caso di dire…) per il ventilatore del discredito istituzionale, è che Vegas l’avrebbe invitata a un incontro privato a casa sua, incontro che lei ha sottolineato di aver declinato. E il condizionale nasce da mero imbarazzo cronistico, perché la Boschi afferma – e su questo, come non crederle? – di aver ritrovato un sms di Vegas nel suo telefonino. Per quali ragioni, il presidente della Consob – anziché preferire di dare visibilità ufficiale all’incontro, come prudente buon senso avrebbe suggerito – abbia invece proposto in prima battuta la privatissima sede di casa sua, lo sa solo lui. Un gesto di delicatezza personale verso la ministra, nella consapevolezza che fosse appunto un po’ imbarazzante che si sapesse di un incontro tanto inopportuno? Forse.

Ma è certo che, se al posto della Boschi ci fosse stata Rosy Bindi – icona incolpevole dell’inesistetismo femminile – non avrebbe notato e sottolineato il dettaglio dell’invito domiciliare; ma essendo la Boschi una bellissima donna, la rivelazione l’ha fatta, e il suo effetto – voluto sicuramente, se anche sortito si vedrà – è diverso. Ed evoca scenari per così dire hollywoodiani… Sorge spontaneo il commento: povera Italia. 

Ma completiamo il quadro: cos’altro rivela Vegas? Di assolutamente nuovo null’altro, ma ricorda e dettaglia un ulteriore tassello deprimente e maleolente della bank-story renziana. Vegas ha raccontato nuovamente cioè di quando il governo preparava il decreto che ha imposto la trasformazione da cooperativa in società per azioni a otto banche ex-popolari ed è poi stato stoppato dal Consiglio di Stato. E di quando, in quelle settimane, sia il premier Renzi che il direttore di Banca d’Italia Panetta avevano incontrato Carlo De Benedetti, l’editore di Repubblica. Movimenti borsistici su titoli di banche popolari riconducibili a società finanziarie di De Benedetti, in quei giorni, ve ne furono. La Consob di Vegas indagò, la Procura di Roma a sua volta indagò, e archiviò. Quindi nessun reato. Ma tanta chiarezza in più sulle dinamiche improprie e misere delle relazioni di potere renziano. 

Il ragazzaccio di Rignano manteneva aperta una corsia preferenziale con l’editore De Benedetti, sprezzante, ahilui, della serie storica di cantonate politiche ed effetti controproducenti che il sostegno debenedettiano ha sortito su vari leader della sinistra, da Veltroni a Rutelli a D’Alema. De Benedetti, anziché preoccuparsi di non dare ad alcuno l’impressione che il suo giornale, pur ovviamente e da sempre schierato a sinistra, fosse diventato faziosamente renziano come invece divenne e si capisce perché, l’accreditava con questa intensa attività di relazioni. Per ricavare anche informazioni con cui fare affari privilegiati, che sarebbe reato, o solo per la boriosa pretesa di ispirare il governo ed esserne il Gran Suggeritore? Nessun affare illecito, ha concluso la Procura di Roma, e quindi per noi cittadini ostinatamente in buona fede, non può che essere così: De Benedetti incontrava Renzi e parlava con il giovane premier di tanti temi, soprattutto economici, solo e soltanto per sentirsi importante. Il che soprattutto a una certa età riscalda il cuore, e poi – De André dixit – si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio.