“Non abbiamo mai discusso di una fine improvvisa del programma di acquisti di bond per cui dal ritmo di 30 miliardi di acquisti al mese passiamo a zero. Di questo non abbiamo mai discusso”. Mario Draghi non lascia spazio a equivoci: il Qe bis, pur dimezzato dal mese prossimo a 30 miliardi al mese, non si tocca. Soprattutto, non è stata indicata, come pure chiedevano alcuni membri del direttorio), una data certa per la fine degli acquisti. “È piuttosto prematuro parlare di cambiare il nostro supporto monetario” ha detto il banchiere, pur riconoscendo che alla luce dell’attuale espansione la nostra fiducia sulla convergenza dell’inflazione verso i nostri obiettivi è certamente superiore a quella di due mesi fa”.
La conferma, del resto, arriva dalle nuove previsioni dell’istituto: il Pil dell’Eurozona salirà del 2,4% nel 2017, poco meno nel 2018 (2,3%), mentre la crescita già incorporata per il 2019 è dell’1,9% per il 2019 e dell’1,7% per l’anno successivo. Numeri positivi ma non sufficienti a far decollare l’inflazione, il segnale decisivo per salutare una volta per tutte la fine dell’emergenza. Anzi, la stima per il 2020 (rilasciata per la prima volta dall’istituto) segnala che tra tre anni l’aumento dei prezzi si attesterà all’1,7%, ancora sotto il target del 2% contro l’1,5% per il 2017, l’1,4% del 2018 (in crescita dello 0,2% sulle stime precedenti) e l’1,5% del 2019. In sintesi, “le pressioni domestiche sui prezzi restano nel complesso tiepide e ancora non mostrano convincenti segnali di un sostenuto andamento verso l’alto”.
Detto in altri termini, nonostante i rilevanti e per certi versi sorprendenti progressi, l’economia non è ancora in grado di marciar da sola senza le stampelle assicurate dall’intervento della banca centrale. Ovvero “gli ulteriori acquisti netti di attività, le notevoli consistenze acquistate e i prossimi reinvestimenti, nonché le nostre indicazioni prospettiche sui tassi di interesse” che resteranno sui livelli attuali per molto tempo, anche successivamente al termine del Quantitative easing che potrà proseguire oltre settembre 2018, se necessario. Come previsto dagli operatori.
Come ha notato Timothy Graf di State Street, “il focus principale dell’incontro della Bce di questo mese è stata la revisione delle previsioni. Come prevedibile, le attese sulla crescita sono state riviste al rialzo sulla scia dei dati sulla produzione più robusti per il terzo trimestre, ma l’inflazione resta sufficientemente al di sotto del target. Perciò non sono in vista cambiamenti delle previsioni o una maggiore innovazione dal punto di vista politico per diverso tempo”.
Dopo questi messaggi l’euro si è indebolito, così come i listini azionari, privi di stimoli a crescere. Dalla parata delle comunicazioni delle banche centrali di questi giorni, del resto, emerge un segnale comune: la politica monetaria, dopo anni di azioni straordinarie, va verso la “normalizzazione”. Ha iniziato mercoledì la Federal Reserve, sottolineando la gradualità dei rialzi del prossimo biennio. Ieri è toccato alla Banca nazionale della Svizzera e alla Banca centrale turca. Alle 13 è stato il turno della Banca d’Inghilterra che ha anticipato che eventuali rialzi dei tassi, saranno “graduali e di estensione limitata”.
La parola, insomma, torna nelle mani della politica. Janet Yellen, in uscita dalla Federal Reserve, ha sospeso il giudizio sulla riforma fiscale di Donald Trump. La Brexit è ancora da decifrare. Le difficoltà nella formazione di una maggioranza di governo in Germania impediscono una valutazione del cammino di rotta dell’Eurozona, in bilico tra una maggiore integrazione o fratture più o meno profonde. In questa cornice, a Draghi non resta che aspettare, nella speranza di poter partecipare a un salto di qualità della Comunità di qui alla fin del suo mandato nel 2019.
Nella speranza che le scontate convulsioni della prossima campagna elettorale italiana non creino troppo danni, ma si limitino ad arricchire qualche speculatore senza troppo danneggiare il portafoglio dei risparmiatori più emotivi. Di sicuro Bot e Btp balleranno. Ma, per nostra fortuna, l’economia non è più così scassata.