In tempi di Fiscal compact e inserimento nei trattati europei di vincoli immodificabili su deficit e debito è utile chiarire alcuni punti su debito e deficit che normalmente non trovano molto spazio. Il primo punto è che il debito pubblico non è di per sé un problema. Il debito pubblico del Giappone è al 250% del Pil ed è sopra al 100% dalla fine degli anni ’90. Nessuno sui mercati se ne preoccupa e il tasso di disoccupazione in Giappone è inferiore al 3%. Il secondo punto è che l’aumento del debito pubblico italiano degli ultimi dieci anni non è un’anomalia rispetto a molte altre economie del primo mondo. Il debito pubblico su Pil italiano è passato dal 102% del 2008 al 133% circa del 2016; nello stesso arco temporale quello francese è passato dal 68% al 96% e quello americano dal 67% al 106%. La traiettoria del debito pubblico francese è simile a quella italiana, ma non ne parla nessuno né sui mercati, né in Europa; la traiettoria del debito pubblico americano è decisamente peggiore, ma in questi giorni si discute di un mega-piano di stimolo fiscale. Nessuno sul mercato se ne preoccupa e nessuno si sogna di applicare più austerity, tanto più se l’economia dovesse peggiorare. Segnaliamo che due terzi del debito pubblico italiano, secondo i dati di Banca d’Italia, è in mano agli italiani che hanno un tasso di proprietà di case proprie tra i più alti in Europa.



Bisogna chiedersi quindi come mai questa preoccupazione sull’Italia. Le ragioni sono due. La prima è che l’Italia non cresce, la seconda è che all’interno della cornice europea non può difendersi. Riguardo alla crescita sono ormai conclamati gli effetti negativi dell’austerity non solo sull’andamento dell’economia ma persino sugli indicatori di finanza pubblica. Se l’Italia nel 2011 non avesse fatto alcuna austerity oggi gli indicatori economici e di finanza pubblica sarebbero migliori. L’austerity nei fatti ha avuto come unico effetto reale un travaso di sovranità dall’Italia all’Europa core e in particolare all’asse franco-tedesco. Questo travaso prende la forma di una subalternità dei governi italiani alle richieste franco-tedesche e allo squilibrio nei rapporti tra imprese italiane ed europee. Se l’austerity diventa il pilota automatico dei rapporti tra Italia ed “Europa” il circolo vizioso può solo continuare. La Francia ha saldi di finanza pubblica uguali o peggiori, ma il suo potere all’interno dell’Europa la protegge dalle richieste più punitive.



La seconda ragione è che a differenza del Giappone e degli Stati Uniti l’Italia non ha una sua banca centrale e non ha una sua valuta. L’Italia è priva di qualsiasi meccanismo di difesa nazionale nei confronti della speculazione e deve passare in sede europea per farsi difendere, dove però trova gli amici tedeschi e in seconda battuta francesi. L’Italia è quindi strutturalmente vulnerabile ad attacchi speculativi per il semplice fatto che questi attacchi diventano delle “profezie autoavverantesi”. La speculazione contro il debito pubblico italiano del 2011 non è finita perché l’economia migliorava, ma perché la Bce ha detto che avrebbe fatto tutto quello che serviva per fermarli. La sostanza però è che l’Italia non è autonomamente in grado di “produrre” questa difesa.



L’unico membro della commissione tedesca di cinque saggi che ha promosso il default dei Paesi “insolventi” come soluzione della crisi dei debiti dei Paesi membri a votare contro, Peter Bofinger, si è opposto esattamente con questi argomenti. Proporre un default del debito degli stati in difficoltà come soluzione degli squilibri europei è un invito alla speculazione perché colpisce, certa che quello scenario si materializzi. Speculare contro il debito italiano è appetibile nella misura in cui si è certi che la soluzione che l’Europa, l’unica che può opporsi, prenderà è proprio quella che fa vincere la speculazione.

Decidere con un accordo intergovernativo come sta accadendo ora di inserire il rispetto di rigidi parametri di rientro dal deficit nei trattati europei e imporre come pena per il mancato rispetto austerity, distruzione dello stato sociale e patrimoniali per l’Italia è un suicidio. L’Italia si prende il danno e pure la beffa di non poter usare la svalutazione per i propri interessi.

La vera alternativa è una unione “vera” che trasferisca sovranità a un Parlamento europeo vero e non a organismi che sono europei nel nome ma tedeschi in tutto il resto. Al di fuori di un’Europa “vera” la Germania continuerà a imporre l’austerity per tenere artificialmente basso l’euro continuando ad accumulare un surplus in violazione di qualsiasi regola europea; nel frattempo azzera l’opposizione trasformandoci in mendicanti. Il risultato finale è la trasformazione di metà Europa in una landa greca colonizzata dalla Germania che finanzia il suo esercito e non le infrastrutture con l’austerity italiana.

La prova di questo è il punto finale del working paper consegnato da Schäuble prima delle sue dimissioni. La soluzione agli shock dei singoli stati membri, è secondo Schäuble, una migrazione migliore all’interno dell’Europa “specialmente per i giovani”. Lo shock italiano, via austerity, con il crollo dell’occupazione, secondo Schäuble, si cura con la migrazione dei giovani italiani in Germania; in pratica per gli italiani c’è posto solo se smettono di essere italiani e diventano tedeschi con questo tenendo bassi i salari e permettendo alla Germania di continuare a competere scorrettamente nei mercati globali. L’opposizione ai piani di Trump, fiscali e commerciali, dell'”Europa” non ha niente a che vedere con l’amore per il libero commercio, ma tantissimo con la minaccia mortale che pongono all’economia tedesca; l’Italia è stata arruolata in questa battaglia non per difendere, anche, se stessa, ma come carne da cannone per gli interessi tedeschi.

Chi si dice europeo lo dovrebbe dimostrare rifiutando l’inserimento del Fiscal compact senza una contemporanea iniezione di democrazia europea. Altrimenti la scelta non è tra “populismo” o sovranismo italiano ed Europa, ma tra populismo italiano e populismo tedesco; forse siamo prevenuti, ma eviteremmo volentieri il secondo. L’ultima volta che l’Italia ha scelto di abbandonarsi al populismo tedesco è finita male per tutti.